22/07/2011
Lasciamoci condurre: la Lettera parte
dalla dualità originaria maschiofemmina
cioè dalla loro pari dignità.
Ne consegue che «il loro proprio modo
di esistere e di vivere insieme è la
comunione» (7).
È proprio ciò che vogliono i genitori di Luca, quando si sono decisi per l’alleanza sponsale, all’origine della loro vita matrimoniale. Forse nessuno ha mostrato loro che comunione è essenzialmente sporgersi verso il bene dell’altro; la comunione che loro hanno sognato e in qualche modo, forse senza nemmeno saperlo, ancora sognano, è proprio il sogno di Dio su di loro, niente di meno e niente di più; la comunione è rottura dell’isolamento, incantamento per la bellezza dell’altro, parola che unisce e rispetta; non è il sindacale “faccio un pezzo io e fai un pezzo tu”, ciascuno divenuto controllore di quello che fa l’altro per non “smenarci”. Comunione è realizzare per intero la propria umanità: «L’uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» (11). Più propriamente si può parlare qui di fecondità, fecondità comunionale, senza la quale non è possibile nessun’altra fecondità.
La fede svela la coppia a sé stessa perché rende possibile il sogno. Infatti «nella benedizione nuziale che così si esprime: “Effondi su di loro la grazia dello Spirito Santo” scaturisce la forza interiore della coppia e della famiglia » (4). È a dire: nel suo desiderio- progetto-sogno di comunione la coppia non ne ricava doverismi o, peggio ancora, inarrivabili “dover essere”; la coppia è rifornita gratuitamente dall’effusione dello Spirito. Lì i due sposi hanno la loro fonte segreta e lì possono tornare a rifornirsi tutte le volte che dimenticano di essere capaci di esistere «in comunione».
Negli affanni e nelle delusioni, il padre di Luca ha dimenticato il sogno della comunione con la moglie: si è ritirato nel suo lavoro, nel guadagno, negli impegni e non la raggiunge più, mettendole a disposizione «il dono sincero di sé», un sé che vale ben più di ogni assegno bancario. Cosa può essere una Messa alla domenica (se non un impegno in più) se egli non torna al desiderio di comunione con lei, con il dividere con lei la sua vita? La madre di Luca annega nei giudizi sulle assenze di lui il suo sogno di comunione, non si sporge verso di lui lanciandogli ogni volta di nuovo il suo desiderio di “essere con”, aspettandolo con un sorriso. I due possono ancora oggi pensare che Dio tifa per la loro comunione, offrendone i mezzi in maniera sovrabbondante. Ma qui, dice Giovanni Paolo II «è urgente una grande preghiera delle famiglie che cresca e attraversi il mondo intero» (5) e ciò spalanca l’orizzonte, rompe i nostri ben assicurati appartamenti: c’è da qualche parte sulla terra una famiglia che prega perché i genitori di Luca riprendano su di sé il sogno della loro comunione.
Di nuovo siamo qui a tentare di aprire lo scrigno prezioso del termine fecondità: che non vuol dire propriamente produrre, far essere, men che meno fabbricare, poniamo, un figlio; ma essere in altro. Non c’è nessuno che possa essere fecondo chiudendosi in sé stesso, ritirando il sogno della comunione; nemmeno il famoso chicco di grano è fecondo se non si apre, se non si spacca.
Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini