22/07/2011
Il nostro case study ci mostra che la
famiglia oggi vive uno scollamento
profondo tra la fede e la realtà quotidiana.
Ciò almeno per due motivi di
fondo, che tentiamo di esaminare un
po’ sommariamente.
1) Il primo: la famiglia oggi è abbandonata
a sé stessa (e magari colpevolizzata
anche dagli operatori, come
insegnanti, educatori, servizi sociali)
perché è entrato nelle sue carni un
principio di divisione dato per scontato
e assorbito dalla temperie culturale:
«Ciascuno badi a sé stesso»; esemplare
appare il comportamento del
padre di Luca: “io lavoro, sono impegnatissimo,
guadagno, mantengo la
famiglia, che cosa si vuole di più da
me?”. La madre appare prigioniera
del suo rapporto con Luca: urla e minacce
non riescono a contenerlo,
mentre lei sognerebbe una vita sua
(l’arte) che forse gli altri due figli le
permetterebbero; e così diventa
“espulsiva” riguardo al figlio.
Luca è in mezzo a questa tempesta
emotiva (la catalizza, per così dire) e
non sa farvi fronte: né con l’aiuto di
un padre che pare non vederlo, né
con l’aiuto di una madre che sembra
orientata solo a domarlo per sentirsi
“libera”. In più, quando aveva sei anni
(e già una sfolgorante carriera da esagitato
alle spalle) gli nasce la sorellina
miracolosamente tranquilla e poi un
fratellino-sole che pare avere il compito
di consolare la madre. Nessuno gli
ha dato tempo, si è seduto con lui,
nessuno ha curato la relazione come
“bene comune”.
2) Il secondo motivo epocale è la riduzione della fede a pratica religiosa che non incide sulla pratica della vita. Di questo siamo responsabili un po’ tutti: c’è stata un’epoca (almeno due generazioni fa) in cui la pratica religiosa era un coronamento di come era di fatto vissuta la fede nella realtà quotidiana; poi ci siamo lasciati incantare dalle sirene del razionalismo e dell’utilitarismo che sono confluite nell’individualismo post-moderno, dove il “bene” del singolo (leggi: il suo proprio benessere emotivo) diviene il criterio ultimo dell’agire. E così siamo precipitati in un neomanicheismo in cui i princìpi del bene e del male, del corpo e dello spirito, del privato e del pubblico eccetera sono opposti, inconciliabili; dove lo sbilanciamento è tutto a favore del bene- corpo-privato non più accessibili a un ideale maggiore, a un bene comune, cui sembra ormai “non utile” credere. Citiamo dalla lucida analisi di Simona Argentieri, psicanalista: «Più di mezzo secolo fa, ne Il disagio della civiltà, Freud scriveva che la convivenza civile imponeva dei “sacrifici pulsionali” che determinavano lo “scontento” dell’uomo moderno. Oggi, a dire il vero, nessuno più si fa carico di limitare gli impulsi sessuali e aggressivi dei singoli, ma non per questo stiamo meglio; anzi, tutti sembrano rabbiosi, delusi, carichi di rancore e perpetuamente scontenti».
Un esempio raccolto fra mille: una
famiglia in cui il fare sesso della figlia
a 15 anni è permesso (e invidiato) in
camera da letto con il moroso appena
maggiorenne, non solo viene tollerato,
ma in un certo senso esaltato (“è
così che si fa!”), anche se poi, dieci anni
dopo, si grida allo scandalo e alla
vergogna perché l’ex-quindicenne
vuole lasciare il moroso, il quale non
le dice più niente. Famiglie cattoliche,
magari con un’abitudinaria pratica
religiosa; ma la fede che permea la vita, la informa, le dà senso e luce
dov’è? In questo contesto il nostro giovanissimo
Luca che vorrebbe imparare
l’arte di non accettare i limiti e i dati
di realtà, il piccolo apprendista inserito
nella cultura del “fai da te”, ci fa
molta tenerezza.
Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini