18/07/2011
Oltre che le abilità che
un buon consulente familiare
deve impegnarsi ad
attuare durante un percorso
con un cliente, è bene
tenere presenti anche
quelli che possiamo, invece,
considerare dei “difetti”
da dover necessariamente
tenere lontani dal
setting. Questi difetti possono
anche essere considerati
dei rischi o pericoli
che è bene conoscere affinché
possano essere evitati
con facilità. Essi vanno
dalla necessità di non
dare consigli al divieto assoluto
di interpretare;
dall’attenzione a non
esprimere giudizi personali
sul cliente al non fissarsi
rigidamente in un
ruolo; dall’evitare di utilizzare
un linguaggio troppo
tecnico e teorico
all’impegno a non interrompere
il cliente.
I difetti a cui abbiamo
accennato si possono trovare
elencati e descritti
nella tabella 4. All’interno
di un consultorio familiare
dovrebbe ricoprire
un ruolo professionale
fondamentale il consulente
familiare che possiamo
definire come un «professionista
socio-educativo
che attua percorsi centrati
su atteggiamenti e tecniche
di accoglienza, ascolto
e auto-ascolto che valorizzino
la persona nella totalità
delle sue componenti;
si avvale di metodologie
specifiche che agevolano
i singoli, la coppia e il
nucleo familiare nelle dinamiche
relazionali a mobilitare
le risorse interne
ed esterne per cercare e
vagliare le possibili soluzioni;
egli si integra, dove
occorre, con altri specialisti
e agisce nel rispetto delle
convinzioni etiche delle
persone e favorisce in
esse la maturazione che le
renda capaci di scelte autonome
e responsabili».
Quella del consulente
familiare è, attualmente,
una professione non regolamentata.
Essa, infatti,
non gode, in Italia, di un
riconoscimento legislativo
da parte dello Stato
che ne riconosca un’identità
né, tanto meno, che
ne indichi un percorso
formativo idoneo e necessario.
Il consulente familiare,
infatti, può essere
annoverato tra le professioni
non regolamentate che
si distinguono da quelle
protette, per cui esiste un albo
e un ordine professionale,
e quelle riconosciute,
per cui c’è un albo ma
non necessariamente un
ordine. Tale figura è, invece,
riconosciuta in moltissimi
Paesi degli Stati Uniti,
del Canada, dell’America
latina e anche dell’Europa.
Nel nostro Paese, il
fatto che non ci sia una regolamentazione
ufficiale
non significa che questa
professione non esista. Infatti,
diversi sono gli esempi
in cui è riconosciuta a
tale figura una funzione
specifica, come per esempio
la normativa regionale
in vigore in Lombardia e in Veneto. La Legge della
Regione Veneto dice
esplicitamente che «per
lo svolgimento della sua
attività, il consultorio deve
possedere un gruppo
di lavoro costituito da psicologi,
medici, assistenti
sociali aventi ciascuno la
funzione di consulenti familiari
», e nell’Articolo
successivo dichiara che «il
coordinatore del consultorio
è scelto tra i consulenti
familiari».
Ermanno d'onofrio