Guerre civili, la Somalia a una svolta

Una forte offensiva diplomatica, ma anche militare, mira a stabilizzare le istituzioni del Paese africano e a stroncare gli Shabab. La fine della guerra civile sembra più vicina.

Scheda – Una guerra civile lunga 21 anni

15/06/2012
Una famiglia di profughi di Mogadiscio a cui le piogge torrenziali del mese scorso hanno distrutto la tenda di fortuna (Foto Reuters).
Una famiglia di profughi di Mogadiscio a cui le piogge torrenziali del mese scorso hanno distrutto la tenda di fortuna (Foto Reuters).

1991 – La Somalia è in guerra civile dal 26 gennaio 1991, quando cadde il regime del dittatore Siad Barre (che aveva conquistato il potere nel 1969 con un colpo di Stato). Da allora, il Paese è di fatto senza autorità e istituzioni in grado di controllare il territorio e di organizzare la vita civile e politica del Paese.

1992-1994 – La comunità internazionale decide di intervenire con l’invio di una missione Onu, la Unosom, nota come “Restore Hope”. L’obiettivo, è quello di aprire canali di sicurezza per l’invio di aiuti umanitari per la popolazione civile, ridotta alla fame dai violentissimi combattimenti e dalla conseguente paralisi di ogni attività economica. L’intervento militare internazionale, a cui partecipava anche l’Italia con la missione Ibis, si conclude nel primi mesi del 1994 con un nulla di fatto. La guerra continua.

1994-2004 – In questo periodo la Somalia resta preda dei “war lord”, i signori della guerra, che si dividono e controllano pezzi più o meno estesi dell’intero Paese. I principali scontri, naturalmente, avvengono nell’area di Mogadiscio, per il controllo della capitale, dove si oppongono le fazioni fedeli ai due più noti signori della guerra: Ali Mahdi e Farah Aidid. È in questo periodo che il Paese, già meta di traffici illeciti di ogni genere sotto Siad Barre, diventa il vero “duty free” dell’illegalità: dal traffico d’armi a quello di rifiuti tossici, dalla tratta di esseri umani al transito degli stupefacenti.

2004-2007 – Nel 2004, al termine dell’ennesima conferenza di pace (la quattordicesima), per la prima volta la trattativa riesce a partorire un Parlamento e un Governo di transizione credibili. Viene eletto Presidente del Paese Abdullahi Yusuf Ahmed e si forma un Governo federale di transizione (Tfg), che dopo un primo periodo di attività da Nairobi, a giugno 2005 entra in Somalia, prima a Johwar, poi a Baidoa e infine a Mogadiscio, da sempre capitale della Somalia. Nel 2006, il Governo, col decisivo aiuto delle forze armate etiopiche, riesce anche a sferrare un violento attacco alle milizie estremiste islamiche (le Corti Islamiche, nuove formazioni ribelli che si erano andate ad aggiungere ai signori della guerra) che in poche settimane sbaraglia la guerriglia e la costringe al ritiro. La ribellione, tuttavia, non finisce, ma si trasforma: comincia allora lo stillicidio degli attentati, delle bombe, degli attacchi suicidi dell’estremismo islamico vicino ad Al Qaeda. In Somalia si dispiega anche una piccola forza di pace interafricana costituita di caschi bianchi burundesi e ugandesi.

Una madre col figlio gravemente malnutrito all'ospedale Banadir di Mogadiscio (Foto: Reuters).
Una madre col figlio gravemente malnutrito all'ospedale Banadir di Mogadiscio (Foto: Reuters).

2008-2010 – Il Presidente Abdullahi Yusuf viene sostituito da Sharif Sheikh Ahmed, perché ritenuto più moderato e in grado di dialogare con la nuova forza ribelle emergente nel Paese: gli Al-Shabab (letteralmente significa “i ragazzi”), una formazione dell’estremismo islamico nata dalle frange più dure delle precedenti Corti Islamiche. Gli Shabab nel giro di un paio d’anni riescono ad assumere il controllo di vaste aree della Somalia centro-meridionale, e anche di una parte della capitale. Il Governo federale, nel contempo, appare sempre più diviso e fragile. La comunità internazionale comincia a temere che gli Shabab possano conquistare tutto il Paese.

2011-2012 – La Somalia, l’anno passato, viene colpita dall’ennesima crisi: questa volta è la siccità e la carestia ad affamare una popolazione già resa vulnerabile dai lunghi anni di guerra. L’emergenza umanitaria, che pure colpisce tutto l’Est Africa, mette in ginocchio soprattutto i somali: più di un milione fuggono dal Paese per non morire di fame. Verso la fine del 2011, dopo alcuni attentati rivendicati dagli estremisti islamici nel vicino Kenya, le truppe di Nairobi, il 16 ottobre, improvvisamente entrano in territorio somalo e attaccano la guerriglia degli estremisti islamici. L’intervento militare kenyano fa da prologo agli avvenimenti attuali: sembra che la comunità internazionale voglia ora esprimere un nuovo e più credibile sforzo per arrivare alla pace nel martoriato Paese africano. L’Onu, da diversi anni, continua a definire la Somalia come «la peggiore crisi umanitaria al mondo».

     Dalla caduta del presidente Siad Barre nel 1991, le lotte intestine fra signori della guerra, e negli ultimi anni con la milizia musulmana integralista degli Shabab, hanno fatto fra 500 mila e un milione e mezzo di morti, 800 mila profughi e un altro milione e mezzo di sfollati su una popolazione totale di 9 milioni e mezzo. La speranza di vita media è di 50 anni e un bambino su quattro muore nei primi cinque anni di vita.

Luciano Scalettari
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