03/05/2013
Il sociologo Maurizio Fiasco della Consulta Nazionale Antiusura
Ricordate
Hermann, il giovane protagonista della Dama
di picche di Puškin?
«Una forza misteriosa
sembrava che ve lo attirasse... quest'attimo decise la sua sorte».
Ma l'obiettivo, in quel caso, era vincere, mentre oggi –
nell'Italia diventata una bisca gigantesca – è solo continuare a
giocare divorando il proprio tempo davanti a una slot o allo schermo
di un computer. Per l'esattezza, sono 69 milioni 760 mila le giornate
lavorative trascorse a inseguire la fortuna. In totale, fanno 488
milioni 320 mila ore di lavoro.
«Un Paese che
brucia così tanto tempo per giocare è un paese dove una parte
consistente della popolazione è già dipendente dal gioco
d'azzardo», spiega il sociologo Maurizio Fiasco che ha elaborato i
dati. «Un giocatore che non è compulsivo, infatti, non trascorre
6-8 ore della sua giornata a giocare. Questi numeri dimostrano chiaramente inoltre
che il gioco "moderato" non esiste e anzi si è beffardamente
rovesciato in gioco compulsivo. È attraverso le scommesse sulle
piccole somme che si è arrivati alla ludopatia. È cambiata la
psicologia, lo stile di vita quotidiano, e ciò che è più
preoccupante è il fatto che questo mutamento radicale non riguarda
alcune piccole élite malate ma la società di massa».
Bastano pochi secondi - Una singola
operazione di gioco dura in media un minimo di 6 secondi per NewSlot
e Videolottery (le macchinette installate in bar e locali). Ci
vogliono 60 secondi per “grattare” un tagliando del Gratta e
Vinci, 40 secondi per i giochi online e 240 secondi per i giochi
cosiddetti tradizionali (Lotto, Superenalotto, scommesse varie). In
tutto fanno 49 miliardi di operazioni di gioco.
Come interpretare
questi dati? Quali sono i costi collaterali? «Il reddito indiretto
versato alla macchina del gioco, da aggiungersi alle somme spese
direttamente per giocare, è di quasi 5 miliardi di euro», spiega
Fiasco, «in pratica un punto di Pil in meno».
Ma il gioco
industriale di massa ha conseguenze devastanti anche dal punto di
vista sociale e umano. Il tempo trascorso davanti a slot e giochi è
tutto tempo sottratto al lavoro, alla famiglia, agli affetti
personali, al culto per chi è credente.
Non solo, ma
questi dati, come sottolinea Fiasco, dimostrano il grande cambiamento
avvenuto nell'offerta dei giochi in Italia che ha trasformato,
attraverso una pianificazione organizzata, gli italiani in un popolo
di giocatori d'azzardo. Fino al 1998 il sistema pubblico del
gambling, infatti, prospettava giochi ad alta remunerazione, con
vincite significative, a volte anche enormi, ma con una bassa
ripetizione di frequenza. Si giocava una volta a settimana al
Totocalcio per inseguire il 13 o al Lotto per centrare il terno. O
addirittura una volta l'anno nella celebre Lotteria di Capodanno.
Oggi invece il trend si è capovolto: si può giocare sempre,
ovunque, dai bar alle tabaccherie, dai sportelli delle Poste ai
supermercati, dalle sale bingo alle poker room (leggi: bisca) fino al
proprio telefonino collegato a Internet, con microvincite che
alimentano spasmodicamente l'illusione di centrare prima o poi il "colpo della vita". «Il modello che si è imposto», spiega
Fiasco, «non fa più leva sulla vincita eclatante come motivazione
ma fa prevalere la sequenza infinita del gioco ripetuto».
Doppiati i fondi pensione - Un altro costo
sociale "collaterale" del gioco lo ha calcolato Alberto
Brambilla, docente di Gestione delle forme previdenziali pubbliche e
parlamentari all'Università Cattolica di Milano. «Nel 2011», ha
spiegato, «gli italiani hanno speso 24 miliardi di euro, pari a
1.260 euro pro-capite, in giochi e scommesse, contro i 3,7 miliardi
investiti nei fondi pensione, pari a 664 euro pro-capite». Questo
vuol dire che ogni italiano spende 664 euro all'anno per la
previdenza integrativa e più del doppio in Gratta e Vinci, slot
machines e videopoker. Gli italiani iscritti a un fondo di pensione
complementare sono 5 milioni e mezzo, i giocatori d'azzardo 15
milioni. Il triplo.
Le gestioni previdenziali integrative
rappresentano meno del 6 per cento del Pil nazionale, il settore dei
giochi arriva al 27 per cento.
«Spesso», ha
dichiarato Brambilla ad Avvenire, «si dice che mancano le risorse
per il welfare o per i fondi pensione. Ma se guardiamo queste cifre
possiamo capire che in realtà vi è uno spreco enorme. E,
soprattutto, una bassa consapevolezza dovuta a scarsa informazione.
Penso a quei tanti anziani con pensioni minime, integrate con risorse
pubbliche, che gettano via i soldi in Gratta e Vinci o slot machines:
lo Stato dovrebbe preoccuparsi di far giocare meno, anche a costo di
contenere gli incassi dei giochi».
Le conseguenze
della macchina del gioco che non si ferma più sono sotto gli occhi
di tutti: immiserimento di massa delle famiglie, depressione dei
consumi di beni e servizi con danni assai rilevanti ai settori
direttamente produttivi, dalla manifattura ai consumi, che sono diminuiti dell'8,4 per cento, e aggravamento
della crisi fiscale dello Stato.
Antonio Sanfrancesco