03/05/2013
Nel gioco non c'è crisi che tenga. Gli italiani spendono sempre di più
Ci sono due miti da sfatare quando si
parla di gioco d'azzardo. Il primo, vecchissimo e duro a morire, è
che lo Stato guadagna sempre di più. Il secondo, più recente e che
si sta facendo largo grazie anche ad alcuni media, è che gli
italiani a causa della crisi giocano di meno. Due miti, appunto,
smentiti clamorosamente dalla realtà e dai numeri. Cominciamo dal primo.
Un buco di oltre un miliardo - Nel 2012, a fronte di una previsione di
circa 10 miliardi di euro, lo Stato dovrebbe incassare dal settore
del gioco (escluso ovviamente quello illegale e in nero) circa 7
miliardi e 100 milioni di euro a fronte degli 8 miliardi e 700
milioni del 2011. Il condizionale è d'obbligo perché i dati
ufficiali non sono stati ancora resi noti da parte dei Monopoli di
Stato nonostante il flusso sia monitorato con reti informatiche e
quindi, in teoria, i dati dovrebbero essere già pronti per la
diffusione ufficiale.
«Secondo alcune mie stime l'Erario
dovrebbe aver perso tra il 2012 e il 2011 un miliardo secco di euro»,
spiega il sociologo Maurizio Fiasco della Consulta Nazionale
Antiusura, «secondo stime ufficiose che circolano, e non sono state
smentite, la perdita sarebbe addirittura di 1 miliardo e 600 milioni
di euro, pari a un quarto del gettito dell'Imu. Lo Stato, insomma, ha
dovuto compensare con l'Imu il mancato incasso derivato dal gioco».
Boom della spesa pro capite nel 2012 - Se lo Stato ha incassato di meno – è
il sillogismo di molti – significa quindi che effettivamente gli
italiani hanno giocato di meno a causa proprio della crisi. Ecco
quindi che i conti tornano. Non è così. I numeri, anche in questo
caso, parlano fin troppo chiaro: per inseguire la Dea Bendata gli
italiani nel 2011 hanno speso in totale quasi 80 miliardi di euro
(79,9), ad ottobre 2012 la spesa è arrivata a quota 87 miliardi di
euro con la previsione che a fine anno la somma sia lievitata
ulteriormente. Mancano i dati del "conguaglio finale, ma la spesa rispetto all'anno prima è aumentata di circa il 20 per cento.
Un crescendo, peraltro, che la crisi
non ha neppure sfiorato.
Nel 2008, l'anno dell'inizio della
recessione con lo scoppio della bolla dei subprime negli Stati Uniti, la
spesa pro capite degli italiani per il gioco è stata di 809 euro,
nel 2009 è salita a 922, nel 2010 a 1024 euro, nel 2011 a 1326 e nel
2012 a 1410 euro.
Non solo, ma più gli italiani giocano,
meno lo Stato incassa. Come mai? I motivi sono diversi.
Il più
importante è che si è passati dai giochi sui quali lo Stato
incassava molto (Lotto, Superenalotto, slot machines fisiche) ai
giochi online dove l'Erario incassa poco e niente. Qualche esempio:
in questo tipo di giochi, caratterizzati da bassa frequenza
(estrazione settimanale, mensile o addirittura annuale come la
Lotteria Italia) su 1000 euro giocati lo Stato ne incassa 500, su
2000 ne prende 1000. Proporzionalmente, quindi, l'introito cresce.
Questo perché la tassazione su questo tipo di gambling è più alta
rispetto ai giochi online. Emblematico, spiega Fiasco, il caso delle
slot machines. Su quelle fisiche, le macchinette installate nei
locali e nei bar, la tassazione è del 12,5 per cento, le slot online
invece sono tassate al 2 per cento, proprio perché online la
frequenza di gioco aumenta vertiginosamente. Quello che si ricava
deve a sua volta essere ripartito tra Stato e concessionari in
proporzioni diseguali, meno allo Stato e più ai concessionari. Un confronto tra il 2001 e il 2012 la dice lunga. Nel 2001 gli italiani avevano speso per giocare 19 miliardi e mezzo di euro e le entrate erariali furono di 5,4 miliardi. Pochi, in proporzione. Nel 2012, a fronte di una spesa di 84 miliardi di euro, lo Stato ne ha racimolati appena tre in più: 8,4.
Rispetto al 1994 oggi gli italiani giocano di più e vincono di meno
Si gioca di più, si vince di meno - Nel
comparto dell'online, inoltre, bisogna poi distinguere tra i giochi
interamente online e i giochi tradizionali nella loro versione online
(c'è il Bingo nelle sale bingo e il Bingo su Internet, c'è il Lotto
nelle ricevitorie e quello online, ci sono le slot machine fisiche e
quelle online).
Il meccanismo cambia profondamente dai
giochi tradizionali a quelli online. «Qui», spiega Fiasco,
«affinché l'Erario (e i concessionari) incassino un po' di più,
deve crescere in proporzione sempre di più anche il volume
complessivo di giocate». E così, infatti, avviene. Una singola
operazione di gioco su una macchinetta dura appena sei secondi, nelle
slot online si scende a un secondo e mezzo.
Se Stato e concessionari incassano di
meno – ecco l'altro sillogismo – significa quindi che si sono
ridotti i margini di guadagno e vengono destinati più soldi al
montepremi. E di conseguenza si gioca di più ma si vince anche di
più.
«È vero», ammette Fiasco, «che lo
Stato per far giocare di più ha dovuto incrementare le quote
irrisorie che vengono restituite ai giocatori sotto forma di vincite
pari all'80 per cento del giocato lordo. Ma si tratta appunto di
microvincite che non coprono e non potranno mai coprire quello che si
è speso per il gioco».
I dati anche qui sono inesorabili. Se
consideriamo le vincite consistenti, quelle superiori ai 500 euro
percepite come il colpo di fortuna che ti cambia la vita o quasi, nel
1994, quando il comparto online non esisteva e c'erano soltanto
Totocalcio, Lotto e Lotteria Italia, le vincite complessive sono
state di un 1 miliardo e 850 milioni di euro. Nel 2012, con il boom
dell'online, secondo le stime, le vincite si fermano a 920 milioni di
euro. Nel '94, quindi, gli italiani giocavano di meno e vincevano il
doppio rispetto ad oggi. Oggi giocano molto di più e vincono di
meno.
Le quote destinate ai vari montepremi
sono sì state aumentate ma non sono altro che uno specchietto per le
allodole. Servono soltanto a illudere chi gioca che, come recita la
pubblicità, "si vince facile, spesso e subito". Ma alla fine il
saldo tra spesa e vincita è sempre negativo per chi gioca. Le
microvincite servono unicamente ad alimentare l'effetto aspettativa.
«Se non si adottasse questo sistema», nota Fiasco, «la propensione
al gioco degli italiani dopo un po' diminuirebbe o potrebbe
addirittura scomparire. Invece, così facendo, non diminuisce perché
i milioni di giocatori fanno esperienza di piccole e frequenti
vincite che però non superano mai quello che si è giocato».
In pratica, se io gioco puntando al
premio consistente e questo premio non esce mai è evidente che alla
lunga mi stancherò di giocare e abbandonerò tutto. Se io invece
gioco e ogni tanto vinco anche delle piccole somme sono indotto a
continuare perché, prima o poi, mi aspetto di realizzare la super
vincita.
La morale, sottolinea Fiasco, «è
che non si gioca più per vincere ma si gioca per continuare. E
questo lo si fa attraverso il meccanismo di gioco basato su altissima
frequenza (puntate a raffica nelle slot online, Gratta e Vinci...) e
continue micro restituzioni».
Assistenza di Stato - Un gioco, è proprio il caso di dire,
perverso. Che ha effetti devastanti e alla lunga insostenibili: una
fetta consistente di popolazione è stata "arruolata" al gioco
compulsivo e patologico con tutte le conseguenze sociali che questo
comporta. Lo Stato, che nel frattempo ha creato un Osservatorio per
le ludopatie, per alimentare questa vera e propria bolla ha caricato
sulla fiscalità pubblica il sostegno al settore del gioco. E
sostegno significa che mentre in altri settori le tasse a carico dei
cittadini sono aumentate, a cominciare dall'Iva, nel business del
gioco si è arrivati alla defiscalizzazione estrema, ossia "tasse
zero", soprattutto per i giochi online. Per l'esattezza 0,53 per
cento di prelievo sul poker e 0,61 per cento sui casinò online. E
questo, in un effetto a catena, ha determinato un buco nelle casse
dell'Erario di circa un miliardo e mezzo di euro.
Da biscazziere, quindi, lo Stato è
diventato un giocatore patologico che non è più in grado di
fermare il sistema e perde sempre. E, con lui, perdono le famiglie e l'economia.
Antonio Sanfrancesco