Colombia e Venezuela: la svolta

A Bogotà il Governo segna un importante passo avanti nella lotta alla guerriglia e al narcotraffico. A Caracas Hugo Chávez è in declino di popolarità e viene punito dal voto.

Ingrid Betancourt, la fine del silenzio

29/09/2010
Ingrid Betancourt, la politica franco-colombiana ostaggio delle Farc per sei anni e mezzo.
Ingrid Betancourt, la politica franco-colombiana ostaggio delle Farc per sei anni e mezzo.

    In Europa la considerano un’eroina. In molti avevano avanzato la sua candidatura al Premio Nobel per la pace, all’indomani della sua liberazione dalla prigionia nelle foreste colombiane, avvenuta a luglio del 2008 grazie a una sorprendente operazione militare. In Colombia, la sua terra di origine, il none di Ingrid Betancourt solleva sentimenti e opinioni contrastanti: molti ammirano in lei l’idealismo che, nel 2002, quando era candidata alla presidenza, la portò a fare campagna elettorale nel cuore delle zone controllate dalle Farc.

    Molti altri guardano a lei con sospetto e antipatia, se non addirittura indifferenza, criticando l’avventatezza che la portò direttamente nella tana del nemico, senza seguire gli avvertimenti che le erano stati dati. Sentimenti che, del resto, lei stessa ha contribuito ad alimentare avanzando l’inopportuna richiesta di un elevatissimo risarcimento da parte dello Stato colombiano per il sequestro subìto ad opera delle Farc.

    Che la si ami o la si odi, Ingrid Betancourt fa notizia, muove gli animi, solleva emozioni. Tanto più adesso che è uscito in 14 Paesi e in 6 lingue il suo racconto dei sei anni e mezzo di prigionia vissuti nella giungla colombiana, nelle mani dei guerriglieri. Più di 700 pagine vivide, dense, appassionanti, scritte con grande fluidità in lingua francese, la sua secondo lingua madre insieme allo spagnolo. Un libro di memorie scritto con grande abilità letteraria, tanto che in Colombia qualcuno ha già dichiarato che diventerà un classico della letteratura nazionale.

    Il titolo, No hay silencio che no termine, non c’è silenzio che non abbia fine, è un verso di Pablo Neruda.  E’ il silenzio delle vittime della lotta armata, dei colombiani costretti dalle minacce di morte ad abbandonare le loro terre per lasciarle alla coltivazione di coca, dei bambini reclutati come combattenti, e soprattutto dei sequestrati ancora nelle mani delle Forze armate rivoluzionarie. Nomi e volti meno popolari e conosciuti, soprattutto all’estero. Per loro, Ingrid Betancourt ha levato la sua voce fin dal giorno della sua liberazione perché non vengano dimenticati, perché lo Stato continui a battersi per la loro salvezza.

a cura di Giulia Cerqueti
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