G20, il futuro fa paura a tutti

A Cannes i problemi in gioco sembrano essere soprattutto europei. In realtà riguardano tutti, anche Stati Uniti e Cina. Serve un compromesso tra la ricetta tedesca e quella di Obama.

Il G20,

03/11/2011

Di fatto lo scoppio della crisi ha determinato un passaggio di consegne, dovuto ma inatteso, dal G8 al G20, dove siedono anche Brasile, India e Cina, paesi che per le loro dimensioni hanno un peso economico sempre più rilevante. I governi riuniti nel G20 convocato poco dopo lo scoppio della crisi, dopo anni di teorie neoliberiste che inneggiavano alla riduzione del ruolo dello stato per lasciar fare al mercato, hanno optato per interventi di classico stile keynesiano, in cui lo stato è attivo nello stimolare l'economia per rilanciarne la domanda di consumi e investimenti ed evitare che la caduta degli attori too big to fail, troppo grandi per fallire, determini conseguenze troppo pesanti per i cittadini. Gordon Brown, allora primo ministro britannico, spiegò con orgoglio in conferenza stampa che i venti avevano catalizzato cinquemila miliardi di dollari come risorse disponibili per i vari interventi di difesa contro la crisi. Il miliardo e trecentomilioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, quasi tutti sottoalimentati, avrebbero potuto far notare che quegli stessi paesi, nonostante le promesse di dare per gli aiuti allo sviluppo lo 0,7% del loro PIL ogni hanno arrivano ad un misero 0,3 che vale 120 miliardi.


L'Europa

Nonostante la crisi sia stata originata in particolare negli Stati Uniti, chi ha subito maggiormente il peso della crisi è stata l'Europa. Tra le ragioni che hanno determinato questa dinamica vi è da un lato il fatto che che gli stati europei hanno meccanismi di protezione sociale più consistenti di quelli Usa (che pesano sulle finanze pubbliche), dall'altro il fatto che l'Europa non ha un governo politico unico coeso. I tempi delle decisioni vengono così allungati e singoli stati possono ostacolare i processo di formazione delle decisioni sino a bloccarlo. Non si tratta di una vera crisi dell'economia europea, però. Dopo il primo impatto negativo, nei vari paesi si è verificata una ripresa; soprattutto in Germania, che beneficia delle esportazioni verso Cina e paesi emergenti meno colpiti dalla crisi, ma anche negli altri paesi. Le difficoltà sono dal lato della finanza pubblica. I paesi hanno dovuto fare scelte per riorientare la finanza pubblica nella direzione di stimolare l'economia e garantire risorse alla spesa sociale. In qualche caso la ripresa non ha consentito un immediato ritorno in termini di entrate e si è dovuto ricorrere al debito. Ma complessivamente la situazione è rimasta sotto controllo. Non per nulla il valore di cambio euro/dollaro non è peggiorato, anzi ha fatto guadagnare qualche punto alla valuta europea, segno che dal punto di vista dei fondamentali i mercati hanno fiducia sul futuro dell'Unione e dell'eurozona. Le difficoltà sono viceversa nate da alcune situazioni particolari che durante l'estate hanno rischiato di esplodere e oggi mettono a prova l'intero quadro finanziario europeo.


Il primo allarme greco

Ad un anno dallo scoppio della crisi, nell'ottobre 2009, George Papandreu vince le elezioni greche e diventa primo ministro. A pochi giorni dall'insediamento denuncia che i libri contabili del governo erano stati falsificati dal governo di centro destra precedente per poter entrare nell'euro e chiede aiuto all'Europa, spiegando che con le nuove cifre la Grecia avrebbe dovuto indebitarsi a costi insostenibili. I leader europei anziché intervenire con prontezza costruendo una rete di protezione europea per intervenire nei confronti della Grecia e degli altri paesi con un debito elevato, si baloccano in discussioni e rinvii. L'ostacolo principale è dato da Angela Merkel che rifiuta la disponibilità tedesca all'operazione. Il tempo passa e il governo greco deve emettere nuovi titoli promettendo tassi di interesse sempre più elevati per convincere il mercato all'acquisto. La situazione diventa realmente insostenibile nel maggio 2010. L'Europa finalmente accetta di avviare un piano di intervento, ma i costi intanto sono diventati molto più onerosi, se sei mesi prima bastavano poche decine di miliardi di euro, ora si parla di un intervento che supera i cento miliardi.


Spagna, Irlanda, Portogallo

Il piano europeo è realizzato solo parzialmente. Intanto la situazione si aggrava anche in Irlanda, Portogallo e Spagna e ci sono preoccupazioni per l'Italia. Irlanda e Portogallo avviano un piano di riforme molto discusso in parlamento e nel paese, ma la dimensione di queste due nazioni non turba realmente l'Europa. Il malato preoccupante è la Spagna. Lo spread rispetto al Bund, cioè la differenza di tasso di interesse che la Spagna deve pagare sui propri titoli rispetto a quelli pagati dai titoli tedeschi - i più bassi della zona euro - è molto elevato. Zapatero annuncia un programma di riforme particolarmente oneroso e dopo qualche settimana annuncia che guiderà il percorso di riforme ma non si ricandiderà, per poter togliere il sospetto di guardare più alla propria rielezione che all'effettivo bisogno del paese. Si crea il fenomeno degli indignados, che protestano contro le ricchezze delle banche e l'assenza di futuro dei giovani, ma l'economia spagnola riprende e oggi lo spread si è ridotto ed è inferiore a quello italiano. La Spagna non è ancora fuori della crisi, ma sta camminando in una direzione positiva.


Il gioco degli speculatori

Il governo greco, in particolare, ma tutti i governi sotto osservazione hanno emesso titoli promettendo tassi di interesse piuttosto elevati, con uno spread rispetto ai tassi dei titoli tedeschi superiore ai 400 punti. Se i Bund pagano il 3%, cioè, questi titoli riconoscono il 7%.

Riccardo Moro
Preferiti
Condividi questo articolo:
Delicious MySpace

tag canale

MODA
Le tendenze, lo stile, gli accessori e tutte le novità
FONDATORI
Le grandi personalità della Chiesa e le loro opere
CARA FAMIGLIA
La vostre testimonianze pubblicate in diretta
I NOSTRI SOLDI
I risparmi, gli investimenti e le notizie per l'economia famigliare

Ultimi dossier pubblicati

%A
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati