L'Africa che spera 2 - Il nuovo Kenya

Storie di una vita migliore da uno dei Paesi più poveri del mondo: due bambini sottratti alla strada e tre giovani donne alle prese con le tecnologie più moderne.

Obama e Melvin: "Ora nella baraccopoli possiamo giocare"

01/09/2010
Jack Matika, il responsabile della casa di prima accoglienza della comunità missionaria di Koinonia, in Kenya, con gli ex ragazzi di strada.
Jack Matika, il responsabile della casa di prima accoglienza della comunità missionaria di Koinonia, in Kenya, con gli ex ragazzi di strada.

Slum di Kibera, Nairobi (Kenya)

Camminano spediti attraverso i viottoli, s'infilano in improbabili passaggi fra le baracche, saltellano sui rivoli di fogna a cielo aperto che scendono dalla collina. Obama e Melvil, i nostri accompagnatori insieme a Jack (il responsabile della casa di prima accoglienza per ragazzi di strada della comunità missionaria di Koinonia) ci portano a visitare una delle nuove case costruite a margine della smisurata baraccopoli di Kibera.

    Lo slum è adagiato fra due colline. Occorre scenderne un declivio e risalire quello opposto. In alto, incombente sul mare di casupole di lamiera, c'è il nuovo complesso di palazzi. Melvil conosce bene la strada. L'appartamento 27 del fabbricato “G” è casa sua. Obama è il suo amico e compagno di giochi. Si sono conosciuti in strada, dove erano “scivolati” lentamente come accade a tanti bambini di Kibera le cui famiglie non ce la fanno a mettere insieme per loro pranzo e cena, oppure perché la madre o il padre se ne vanno e la famiglia si disgrega.

    Melvil ha incontrato Jack Matika, una notte di gennaio 2008 e ha accettato di cambiare vita: è entrato al centro di prima accoglienza creato da padre Renato Kizito Sesana, vi è rimasto un anno. Nel frattempo, la sua famiglia, o meglio il padre, ha ottenuto un appartamento nelle nuove costruzioni. Così Melvin è rientrato a casa. «Naturalmente dobbiamo controllare che non si ripetano le condizioni che avevano fatto di Melvin un bambino di strada», spiega Jack.

    «Sosteniamo la famiglia, e garantiamo tutto il necessario perché il bambino frequenti la scuola». David, il padre, ci accoglie e ci spiega la differenza: «Abitavo laggiù, a metà della collina. Non c'era acqua corrente, non avevamo la corrente elettrica, non c'erano servizi igienici. La baracca era di una stanza soltanto e i bambini non avevamo alcuno spazio per giocare. Qui, come vedete, è tutto diverso».

    C'è chi si può permettere una stanza sola, allora più famiglie condividono lo stesso appartamento, spiega David, «io sono riuscito ad affittarne uno tutto per noi, tre stanze più il bagno».

    Di sotto, nel cortile, è tutto un vociare di bambini che saltano alla corda o giocano a calcio con un pallone fatto di pezza. Fra un palazzo e l'altro si vende frutta e verdura o altre mercanzie, nei banchetti tipici dei mercatini informali africani. Proprio come prima: chi faceva il piccolo commercio fra le baracche di Kibera ha semplicemente trasferito l'attività nei cortili. Ora lo spazio per giocare non manca, a Melvin e Obama.

Luciano Scalettari
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