02/09/2010
Le mamme-canguro. All'ospedale di Kalongo non ci sono le incubatrici per i bambini nati prematuramente. Così ci pensano le madri: portano i piccoli al seno.
Kalongo-Kampala, Uganda
Nel raggio di decine di chilometri è il solo ospedale. Oggi si chiama “Ambrosoli Hospital” in memoria del suo fondatore, il Servo di Dio Giuseppe Ambrosoli, il comboniano e medico che l’ha fondato nel 1956 e che vi ha passato tutta la sua vita missionaria fino alla morte, nel 1987.
Un ospedale che ha attraversato tutta la storia recente del Paese, le dittature feroci di Idi Amin e di Obote, la guerra di liberazione di Yoweri Museveni (l’attuale presidente, in carica ormai da 24 anni). E anche la guerra civile dell’Lra, nata proprio in queste terre, dato che Joseph Kony e i suoi seguaci erano Acholi.
«L’Ambrosoli Hospital non ha mai fermato la propria attività, neanche nei momenti più difficili», spiega suor Vincentina Achora, anche lei dell’ordine delle Piccole sorelle di Maria Immacolata, come la direttrice della scuola del Santa Bakhita. «Quando infuriava la violenza dei ribelli, ogni notte ospitavamo da 8 a 11 mila persone: venivano a dormire all’interno dell’ospedale per essere un po’ più sicuri».
Oggi ha 320 posti letto. Nel raggio di 30 chilometri è l’unica struttura ospedaliera, ma per la sua fama arrivano pazienti persino da Kampala. Suor Vincentina di problemi ne deve risolvere tanti, ogni giorno. Un esempio? L’approvvigionamento di medicinali e materiale di consumo: «Non abbiamo un camion», dice. «E le strade sono quelle che sono. Per cui dobbiamo andare avanti e indietro da Kampala con il fuoristrada. Otto-nove ore di viaggio ogni volta».
Molte apparecchiature vanno sostituite, e quando qualcosa si guasta per la riparazione talvolta occorre andare fino a Nairobi, in Kenya. Inoltre i posti della pediatria sono insufficienti: talvolta non bastano e le mamme con i loro bambini ricoverati sono costrette a dormire fuori. «La gente qui è molto povera», conclude suor Vincentina. «Tutte le prestazioni non totalmente gratuite. Anzi, spesso vediamo che le condizioni sono estreme, al momento della dimissione diamo vestiti, sapone e beni di prima necessità».
Luciano Scalettari