18/09/2010
I ccoperanti di Mlfm davanti al nuovo acquedotto. Da sinistra, il primo è Stefano Scotti, il secondo Edoardo Chiappa.
Kigali, Ruanda
La strada per Byumba, in direzione Nord rispetto alla capitale Kigali, è asfaltata e in ottimo stato. Ma quello che scorre dal finestrino è l’altro Ruanda, quello delle mille splendide colline del Ruanda, ma anche quello più povero, dove spesso i servizi essenziali – luce, acqua, infrastrutture – hanno ancora i verbi al futuro. È qui che operano i cooperanti di Movimento Lotta contro la Fame nel Mondo (Mlfm), una organizzazione non governativa di Lodi.
«Siamo tutti ingegneri», spiega Edoardo Chiappa, uno dei cinque espatriati della Ong presenti in Ruanda. «Siamo specializzati in progetti e interventi tecnici. Stiamo realizzando tre acquedotti, qui nel Nord del Ruanda. Due sono vecchi acquedotti da ammodernare e rimettere in funzione. Il terzo è nuovo».
Ci stanno portando a vedere quest’ultimo, ormai quasi finito. «Mancano poche settimane», aggiunge Edoardo. «Poi l’impianto sarà in funzione e cominceremo la parte della distribuzione. Questo punto d’acqua dovrà rifornire un bacino d’utenza di 30 mila persone.
Un lavoro semplice dal punto di vista ingegneristico, complesso per l’adattamento alle tecnologie disponibili nel luogo e per farne un’opera che duri nel tempo con pochissima manutenzione.
«Ci si apre il cuore quando vediamo la prima acqua che sgorga dalle fonti e la gente del villaggio che corre con le taniche», sottolinea Stefano Scotti, un altro dei cooperanti di Mlfm. «Di solito la prima reazione è la sorpresa e l’incredulità».
L’acqua potabile è una delle grandi emergenze dei Paesi poveri. A causa delle patologie legate all’uso di acqua impura muoiono ogni anno 1,2 milioni di persone. Ancora nel 1990 quasi la metà della dell’Africa sub sahariana non aveva accesso all’acqua potabile. Il settimo Obiettivo del Millennio intende dimezzare la percentuale entro il 2015, portandola al 24,5 per cento.
In Ruanda, ancora nel 2006 solo il 64 per cento della popolazione aveva l’acqua in casa, o almeno un pozzo nelle vicinanze. Il governo ruandese si è posto l’obiettivo di portare la percentuale all’86 per cento entro il 2012, con un punto d’acqua a non più di 250 metri in città e a 500 metri nelle aree rurali. «Oggi, a livello nazionale la distanza media di accesso all’acqua è di 700 metri. Il problema è che il 60 per cento delle fonti è obsoleto o inagibile», spiega Edoardo.
Tuttavia, non basta portare l’acqua. Occorre anche educare al buon uso. Perciò il progetto degli acquedotti viene portato avanti dall’Mlfm insieme a un’altra Ong italiana, l’Avsi (Associazione Volontari per la Solidarietà Internazionale) che cura la parte dell’informazione, della sensibilizzazione all’uso dell’acqua potabile e del monitoraggio delle situazioni a rischio, attraverso l’installazione capillare di computer e database in tutti i centri sanitari e gli ambulatori per registrare la casistica di malattie legate all’acqua.
«Possiamo così intervenire dove vediamo che ci sono picchi di patologie e problemi sanitari derivanti dall’utilizzo di acqua impura o da carenza di servizi igienici», spiega Riccardo Bevilacqua, capo progetto di Avsi in Ruanda.
«In generale, occorre insegnare tutta la serie di accorgimenti igienici e attenzioni per usarla bene, specie con i bambini», aggiunge. «Perciò formiamo gli animatori di comunità che girano poi di villaggio in villaggio per fare quest’opera di sensibilizzazione».
Avsi, in Ruanda è presente da molti anni e porta avanti diversi progetti. Oltre a questo, fa riforestazione, costruzione di case per le famiglie più vulnerabili, corsi di alfabetizzazione. E una forte azione di sostegno a distanza: attualmente 2.300 bambini.
Luciano Scalettari