10/04/2013
Foto di Paolo Siccardi/Sync. Da sinistra: Giorgio Airaudo (ex leader Fiom-Cgil e oggi parlamentare Sel), Michele Curto (consigliere comunale di Sel), Eleonora Artesio (consigliera regionale piemontese di Sel) .
«Il problema è che, fin dall'inizio,
l'emergenza Nord Africa è stata gestita male». Non usa mezzi
termini Sergio Durando, direttore Ufficio Pastorale Migranti Diocesi
di Torino. Per chi da anni mette la propria vita al servizio dei più
poveri, i fatti di questi giorni non sono che l'ultima tappa di un
dramma annunciato. «Prendiamo il caso del Piemonte: dei 1.700
profughi arrivati in Regione, 1.500 hanno trovato accoglienza nella
Provincia di Torino (numero gravoso per un'amministrazione locale e
segno di un evidente squilibrio).
Le strutture ospitanti, spesso
impreparate, hanno finito per diventare dei "parcheggi".
Non solo: la maggioranza dei profughi – denuncia Durando - ha un
permesso di soggiorno umanitario, che scadrà a fine anno. Se nel
frattempo non riusciranno a trovare un lavoro, diventeranno degli
irregolari. Irregolari e in strada: una situazione vergognosa. Per
questo è fondamentale agire subito, col coinvolgimento di tutte le
istituzioni, dal Governo agli enti locali».
«Basta con le soluzioni precarie –
aggiunge don Fredo Olivero (Migrantes) – Il paradosso
dell'emergenza Nord Africa è che sono state spese somme enormi senza
avere una reale integrazione. A distanza di quasi due anni, molti dei
profughi non conoscono l'italiano, neppure in maniera elementare, il
che dimostra come i programmi previsti siano stati in larga parte
disattesi. Ora servono progetti concreti e mirati, tempi certi e
soluzioni abitative stabili. Di case libere a Torino e in Regione ce
ne sono tante. Bisogna coinvolgere il territorio. E' difficile, ma si
può fare».
Una veduta esterna del Municipio di Torino
Proprio in questi giorni il Comune di
Torino ha rinnovato per un altro anno l'accordo stipulato nel 2010
con il ministero dell'Interno riguardo a una serie di servizi a
favore di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale.
Difficile dire se e quanti dei profughi che occupano l'ex villaggio
olimpico abbiano i requisiti per accedere a questi progetti, ma
«stiamo facendo tutto il possibile, lavorando secondo criteri di
equità» ricorda Elide Tisi, assessore alle Politiche Sociali del
Comune di Torino. «Grazie ai percorsi Sprar (Sistema di Protezione
per Richiedenti Asilo e Rifugiati), la città aiuta ogni giorno 260
migranti – spiega l'assessore - Ma le richieste sono almeno il
doppio, ben oltre le nostre possibilità. E non dimentichiamo le 150
segnalazioni che abbiamo ricevuto dalla Prefettura riguardo a
soggetti particolarmente "fragili", soprattutto mamme,
bambini piccoli, malati, a volte anche gravi. Sono segnali eloquenti,
impossibili da ignorare. I percorsi Sprar, che non si limitano a
fornire vitto e alloggio, ma prevedono anche apprendimento della
lingua e formazione professionale, andrebbero potenziati e su questo
tema spero ci sia sensibilità da parte del ministero dell'Interno».
Non tutti a Torino, però, la pensano
così. «Per due anni l'Italia ha assistito i profughi con 35 euro
giornalieri cadauno, una cifra impensabile per molti dei nostri
esodati – afferma Fabrizio Ricca, capogruppo Lega Nord in Consiglio
Comunale - Ora, nei casi in cui è possibile, bisogna far ritornare
queste persone ai Paesi d'origine: sono profughi di guerra e se la
guerra è finita, è giusto pensare a un rimpatrio. Chi invece vuole
restare qui e lavorare deve mettersi in fila. Non si tratta di
discriminare nessuno, ma la situazione è oggettivamente drammatica.
Solo a Torino un negozio su tre chiude e se i pochi soldi rimasti
vengono usati per assistere i migranti, chi penserà ai nostri
anziani?».
Lorenzo Montanaro
Dossier a cura di Eugenio Arcidiacono