15/03/2011
Il Palazzo Reale di Torino visto da piazza Castello (foto di Paolo Siccardi/Sync).
Prima dell’unità, l’Italia è un’espressione geografica percorsa da forti sentimenti, ma politicamente e socialmente divisa: circa 22 milioni di abitanti sparsi in sette Stati, una lingua comune – l’italiano – usata solo per i documenti ufficiali, un tasso d’analfabetismo del 75 per cento, una povertà diffusa. Il nostro Paese ha un'economia che non riesce a competere con quella delle altre grandi nazioni euopee. L'Italia sconta la povertà di materie prime (ferro e carbon fossile) che rende debole, al momento dell'unificazione, il comparto siderurgico, settore che in altri Stati, invece, si sviluppa velocemente, diventando il simbolo del processo di industrializzazione. Da noi, nel marzo 1861, esistono poche industrie: sono soprattutto tessili e stanno soprattutto al Nord. A far da regina è l'agricoltura, che assorbe ben oltre la metà della mano d'opera: ma nei campi dominano latifondo e tecniche di coltivazione antiquate. Le infrastrutture non sono all'altezza delle ambizioni: l'Italia, ad esempio, ha una rete ferroviaria lunga circa 2.000 chilometri; poca cosa rispetto agli
11.000 chilometri di binari che può vantare la Germania o i 14.000 della Francia.
Questo è il contesto sociale ed economico in cui, il 17 marzo 1861, nasce il nuovo Stato. «Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e
promulghiamo quanto segue. Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per
sé e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia. Ordiniamo che la presente, munita
del sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo,
mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello
Stato. Da Torino, addì 17 marzo 1861». L'atto di nascita della nuova realtà è la legge numero 4671, promulgata - appunto - il 17 marzo 1861 e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale numero 68 l'indomani, il 18 marzo 1861. Cavour vuole che sia questo il primo provvedimento legislativo del
nuovo Parlamento nazionale, composto da 211 senatori di nomina regia
(ci sono fra gli altri Massimo d’Azeglio e Alessandro Manzoni) e da 443
deputati, per la prima volta anche del Mezzogiorno, della Sicilia,
dell’Umbria e delle Marche, eletti il 27 gennaio. In tutte le principali città italiane 101 colpi di cannone annunciano solennemente la proclamazione del Regno d’Italia. Si festeggia per le strade, come già è successo il 14 marzo 1861,
giorno del compleanno del re. A Roma però ci sono ancora i francesi e lo
Stato pontificio, a Venezia gli austriaci.
Nel rapidissimo riconoscimento del regno da
parte della Gran Bretagna e della Svizzera il 30 marzo 1861, ad
appena due settimane dalla sua proclamazione, seguito da quello
degli Stati Uniti d'America il 13 aprile 1861, al di là delle
simpatie per il governo liberale di Torino, c'è anche un disegno,
anche se ancora incerto, sul vantaggio che potrebbe trarre l'Europa dalla presenza del nuova realtà. Si diffonde, infatti, la convinzione che l'Italia unita, non più terra di conquista o di confronto armato tra grandi potenze, costituisca un elemento di stabilità per l'intero
continente.
A 150 anni di distanza facciamo il punto sull'unificazione, sui problemi risolti e su quelli ancora aperti. Lo facciamo con un’attenzione particolare ai cattolici, tenuti a distanza quando non osteggiati al momento dell’unificazione, ma poi sempre più protagonisti incisivi nella vita del Paese.
Alberto Chiara
A cura di Alberto Chiara