24/04/2013
Status symbol per eccellenza, anche in politica è l’automobile che misura, con molta presunzione, la situazione generale del Paese. Così, nel giro di pochi giorni, assistiamo un po’ sgomenti alla certificazione su quattro ruote che ci dice quanto l’Italia sia una nazione in crisi.
Il nuovo-vecchio presidente della Repubblica, che anziché scegliere la splendida e mitica Lancia Flaminia presidenziale scortata dai corazzieri a cavallo preferisce una più popolare (si fa per dire) Lancia Thema, mostra, nel tragitto dal Colle a Montecitorio e da lì a piazza Venezia e ritorno a casa, che la parola più moderna della nostra politica è diventata “sobrietà”.
Il lusso non è più ammesso, anche se già da tempo su questo si discuteva, a partire proprio dalle auto. Ai suoi tempi, quando governava, Silvio Berlusconi era oggetto di critiche più o meno trasversali per l’uso di un’auto tedesca al posto di una più autarchica Fiat.
D’altronde, da noi, nel breve volgere di pochi anni, quella grande marca ha fagocitato tutte le altre, così che quando si guarda in casa d’altri (Germania e Francia) non resta che sospirare e ricordare i bei tempi in cui la Flaminia presidenziale più che un lusso sembrava l’evidenza di un popolo sempre pronto a gustarsi in abbondanza ciò che è bello.
Che poi l’auto berlusconiana fosse tedesca, a pensarci oggi che la parola Germania evoca nel centrodestra orticarie e promesse vendicatrici, sembra una stonatura ancora più evidente di allora.
Ma la questione delle auto è sempre stata in cima ai pensieri dei nostri politici. La cosiddetta “auto blu” esisteva già ai tempi di Mussolini, anche allora una Lancia, che il dittatore però abbandonò per la più amata Alfa Romeo nelle tristi giornate di Salò. Mentre la storia d’Italia repubblicana inizia con un presidente a suo modo bizzoso. Enrico De Nicola, presidente provvisorio dello Stato, infatti, arrivò da Napoli a Roma con la sua auto privata, nonostante i leader politici fossero pronti ad andare a prenderlo in pompa magna scappellandosi. Proprio ciò che l’avvocato napoletano mal sopportava.
Così, lo attesero in strada e De Nicola si presentò con un’ora e più di ritardo all’appuntamento. Al Quirinale di auto se ne intendono, non passa un presidente senza un omaggio da parte delle case automobilistiche ma per tutti noi l’auto presidenziale resta proprio la Flaminia, che esordì per volontà di Giovanni Gronchi, nel 1960, l’anno dei Giochi olimpici di Roma, per intenderci. E da allora, spesso l’abbiamo vista in televisione oppure, se si è romani o turisti, proprio in quei momenti importanti. Così, nell’immaginario collettivo, che nel nostro Paese fa rima con velocità, prestazioni e tutto il resto del campionario di un popolo di santi, poeti e guidatori, ci si immagina un viaggio dentro quel portento di auto: e sai la comodità, e ti figuri la velocità, e te la vedi la faccia di chi viene sorpassato. Beh, in realtà, le cose non stanno proprio così, anzi vanno al contrario.
L'arrivo di Letta nel cortile d'onore del Quirinale con la sua auto.
Progettata, infatti, per farsi ammirare dal popolo, la Flaminia presidenziale, che si dovrebbe chiamare più correttamente Lancia Flaminia Cabriolet Landaulet, è una specie di carro armato del peso di venti quintali per cinque metri e mezzo di lunghezza, con il passo ridotto per non andare troppo su di giri durante le uscite tra due ali di folla ad andatura ridotta.
Non va oltre i 120 orari e se proprio deve essere usata fuori Roma, la si carica su un treno speciale e la si trasporta dove farà il suo bel figurone. Fine del mito? Macché, ci mancherebbe altro. Tutti, dopo Gronchi, ci hanno fatto un giro d’onore il primo giorno di presidenza. E se l’altro giorno Napolitano ha preferito saggiamente lasciar perdere questo sfoggio di esclusività presidenziale, è anche vero che sette anni prima aveva gioito anch’egli della gita dal Quirinale a Montecitorio.
Tornando ai leader di partito e ai presidenti del consiglio, invece, detto più volte di Mussolini che fece la marcia su Roma in comodo vagone letto e di Berlusconi che non ha mostrato di amare molto il made in Italy, il prossimo premier, sempre ammesso che le cose vadano in un certo modo, s’è fatto il viaggetto verso il Colle su una monovolume. Mostrando di essere ancora più sobrio del Presidente. Enrico Letta in monovolume, per i soliti scettici, è la risposta dei tempi grami a chi in altre annate d’oro non solo girava per la città con l’auto blu, preceduto da polizia, carabinieri, sirene spiegate e corsie preferenziali ma, con sprezzo del pericolo e vanesia attitudine a sentirsi speciale, allungava la manina per salutare “la ggente”, il “popolo sovrano”.
Ricevendo spesso, in cambio, una vasta fantasia di contumelie d’ogni genere da chi seguitava a stare fermo in coda al semaforo bloccato per far passare la macchina delle alte cariche. Oggi che s’accostano alla monovolume per far scendere Letta, anche i corazzieri sospirano per i bei tempi che furono, quando dalla portiera di quella Flaminia scendeva Elisabetta, regina d’Inghilterra. Insomma, ci si deve accontentare, sperando che al ritorno dal Colle, la benzina non finisca prima di porre fine al viaggio dell’ultima speranza.
Manuel Gandin