24/04/2013
Enrico Letta dopo aver ricevuto l'incarico dal Capo dello Stato
Il secondo più giovane premier della storia d’Italia. E quello del "secondo" è un po’ il ruolo che si porta dietro, con indifferenza apparente, ma anche con una certa cura. Enrico Letta, a 47 anni, età che per i futuri cabalisti oppositori sarà una manna, pur se scontata, ovvia e banale, è l’uomo. Giorgio Napolitano ha scelto lui come prossimo presidente del Consiglio, dopo che nei giorni scorsi i nomi di Giuliano Amato per primo, il suo per secondo (e come ti sbagli) e di Matteo Renzi, subito affossato dall’"alleato" Berlusconi, che teme il sindaco di Firenze come prossimo competitor elettorale, s’erano alternati nel toto-premier.
Così, Enrico Letta, il ministro più giovane della storia repubblicana (aveva 32 anni quando venne nominato ministro per le politiche comunitarie, nel 1998, nel governo D’Alema), stavolta supera lo scoglio del "secondo" per essere finalmente primo, Primo ministro. Nel 1998, quando giurò da ministro, era vicesegretario (un ruolo da secondo, ancora) nazionale del Ppi, il Partito Popolare. Ma a D’Alema quel "secondo" piacque e quando si trattò di varare il D’Alema II ecco un nuovo ministero per il giovane pisano che stava bruciando le tappe: stavolta è ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato. Lo confermerà nel ruolo anche il presidente del Consiglio successivo, proprio Giuliano Amato mentre, nel frattempo, diventa responsabile nazionale per l’economia della Margherita. Già, solo dodici anni fa, c’era ancora la Margherita…
Laureato in scienze politiche, nipote di quel Gianni Letta eminenza grigia di Silvio Berlusconi, il "giovane Letta", chiamato in modo così poco elegante proprio per fare distinzioni con l’autorevole zio, si muove bene in ogni ruolo. O, meglio, riesce a non commettere errori marchiani in un mondo politico sempre più isterico e sovraesposto. Quando appare in televisione a qualche dibattito, per esempio, assume sempre il ruolo da mediatore naturale fra le parti, di chi coerentemente produce ipotesi da un suo punto di vista chiaro ma che non rinuncia ad ascoltare la controparte.
C’è chi lo giudica troppo morbido e chi lo apprezza proprio per questo, per la capacità di ricondurre alla ragione (se possibile) anche il più sguaiato interlocutore. Quanto all’ascolto, sembrerebbe una sua dote (rara, per l’Italia odierna) che mette in mostra agevolmente. Come quando, al seguito di Pierluigi Bersani, girò l’Italia dei distretti per capire quali fossero i punti caldi del Paese reale: dubbi, negatività da superare, pregi e difetti. E dopo aver ascoltato, ne trasse due libri, sempre in compagnia di Bersani: Viaggio nell’economia italiana e Sulla via dei distretti. Un viaggio per rilanciare l'economia italiana, con cui si comprende come, dopo l’ascolto, occorra sempre fare.
E se da un lato a sinistra lo si ammira per come gestisce la propria immagine nel contraddittorio con la destra, sempre a sinistra i più sospettosi gli ricordano il cognome. Lui non fa una piega e quando nel 2006 Romano Prodi batte Berlusconi e vara il suo secondo governo, il "nipotino" Enrico eredita proprio il ruolo che zio Gianni aveva nel governo precedente: sottosegretario alla presidenza del consiglio. Un numero due del governo, dunque, e ci risiamo. Ma l’errore sarebbe quello di considerarlo un eterno secondo, un Tano Belloni delle corse politiche. In realtà, Letta sa bene che il punto d’osservazione di chi è all’ombra dei capi spesso e volentieri può tradursi in uno scatto avanti imperioso, improvviso e sorprendente, come quello di oggi. Lui, che ama imparare e che di carriera ne già ha fatta parecchia e con risultati notevoli, pur mancando di volgarità, di voce stridula e soffocante, di tecniche da piacione o di altre corbellerie tanto vantate dall’ultima generazione politica nazionale, punta sempre al sodo.
Dov’è l’obiettivo? È là? Bene, raggiungiamolo. Con tanta pazienza di derivazione democristiana, sua scuola d’origine, unita a una tenacia degna degli orgogli della sinistra migliore, ma senza dimenticare il savoir fair che sicuramente lo zietto di destra gli avrà insegnato nei momenti d’intimità familiare. Tanto che l’idea di ricordare il cognome Letta per tentare di macchiare il percorso di Enrico è sparita dalla circolazione in pochissimo tempo e nessuno osa dubitare della sua serietà politica e della sua autonomia.
Perfino quel cinico leader che suole guardare tutti sempre dall’alto in basso, sì, proprio D’Alema, lo apprezza e loda. Tanto che Letta s’è guadagnato la stima e anche la simpatia di chi sta dall’altra parte della barricata: lo si giudica un avversario serio, preparato e disponibile ad ascoltare anche le ragioni altrui. Oh, beh, se è per questo da adesso in poi non mancherà qualche folleggiante scandalista pronto a urlare: "inciucio, massimo inciucio", ma va da sé che non si può pensare di eliminare chi non la pensa come la maggioranza delle persone. Toccherà abbozzare. E d’altra parte, i tanti complottasti che nascono ogni giorno, specialmente in Rete, saranno pronti a sottolineare l’appartenenza del prossimo presidente del Consiglio a "istituzioni fantasmatiche e complottiste" come la Trilateral e l’Aspen Insitut.
E figuriamoci poi, se mancherà chi ricorderà la partecipazione di Letta, lo scorso anno, a una riunione in Virginia del Gruppo Bildenberg. Né sarà dimenticato il fatto che Letta sia stato citato da quel bel tomo di Luigi Lusi, ex cassiere della Margherita, come uno dei referenti a cui dava denaro fresco. Ma va da sé che nello stile lettiano domina sempre il "non ti curar di lor" con quello che ne consegue. Stile di famiglia, certo, ma anche abilità personale di Enrico. Che gli va riconosciuta. Ora tutto sta a vedere come se la caverà in questa nuova avventura che sembra fatta apposta per renderlo premier memorabile, se tutto andrà per il verso giusto. In caso contrario, sarebbe ricordato solo come "secondo" premier più giovane della storia d’Italia.
Manuel Gandin