La questione Enrico dentro il Pd

24/04/2013

Farà bene o farà male la scelta di Napolitano di affidare il governo ad Enrico Letta dentro il Partito democratico, ormai imploso (con tanto di certificato bersaniano) dopo la bocciatura di Franco Marini e ancor più di Romano Prodi alle elezioni quirinalizie? E’ la domanda del giorno dentro il Pd. Su questo, la prima ad avere le idee chiare, prima ancora che Letta fosse nominato, è stata Rosy Bindi. L'ex pasionaria del Partito popolare ha tentato invano di impallinarlo. Ma non per motivi di disistima. Poiché, ci ha tenuto a precisare Rosy, Enrico è un amico, è molto bravo, competente etc... Ma il guaio è che Enrico è un politico, e un governo del Presidente, un Governo di unità nazionale, un Governo di scopo, un Governo di larghe intese, insomma chiamatelo come volete, non può essere guidato da un politico. Missione fallita. Perché la folla rumoreggia e c’è anche chi le replica che un “Governo a bassa intensità politica” danneggia il Pd. E' dai tempi di Berlinguer che un Enrico non si poneva al centro del partito.  

Nel frattempo la direzione del Pd, in un clima teso dentro e infuocato fuori, ha incassato le dimissioni formali e lo sfogo del segretario Pier Luigi Bersani. Che rimane segretario “pro tempore” fino al confgresso, cioè fino in autunno. A dimostrazione di quanto siano stanchi e frusti, oltre che inadeguati, i riti e i tempi della "vecchia" politica di fronte alla velocità mercuriale con cui si diffondono i nuovi problemi e i nuovi guai del Paese. E soprattutto di fronte a un popolo di elettori e simpatizzanti che si muove in Rete alla velocità della luce. A settembre è come dire in un’altra era, e invece il Pd si riunirà a congresso. C’è tempo per l’eventuale discesa in campo di Matteo Renzi, sembra dire al dirigenza del Pd.

Tra i delegati prevale la linea di chi propende per un “pieno coinvolgimento politico” di figure chiave del Pd. Letta, peraltro, aprirebbe problemi ancora maggiori a un vertice democrat decapitato in tutti i suoi ruoli cardine. Bersani aveva aperto i lavori confermando le dimissioni ma anche togliendosi molti sassolini dalle scarpe: “Ho visto Le Monde titolare “Colpito Prodi per affossare Bersani”. Forse non sanno che qui abbiamo missili a testata multipla”. Unica consolazione la neo-governatrice del Friuli Debora Serracchiani, che ha battuto il Pdl e dato una sistematina alla protervia dei Cinque Stelle, cui va la standing ovation della Direzione. Ma Debora gela tutti. Parla di “anarchismo e feudalizzazione che persistono”, di un “problema grave di permeabilità e perdita di autonomia fino a essere inservibili per il Paese”. E certifica i “problemi strutturali” del suo partito di appartenenza. Perché se non si fa una riflessione critica facendosi un po' male, che democrat saremmo?   


Già, la cirisi “strutturale”. Il Pd non è mai riuscito  a superare “la fusione fredda” tra un pezzo della vecchia Dc e i postcomunisti. Non ha dubbi sul suo “de profundis” Stefano Folli, editorialista del Sole 24 Ore e decano dei commentatori politici: “Il Pd è ormai al capolinea. E’ stato una buona intuizione che non ha mai prodotto risultati politicamente apprezzabili. I suoi dirigenti non sono mai riusciti veramente a entrare nell’elettorato moderato, non sono mai riusciti ad essere altro che un’alleanza tra un pezzo della vecchia Democrazia Cristiana e il corpo residuo del Partito Comunista nelle sue articolazioni del potere locale”. Per Massimo Cacciari, coscienza critica della sinistra, “il Pd deve semplicemente ragionare. Non basterà certo un congresso per rattoppare tutto e salvare il salvabile”. Per uscire dalla sua crisi strutturale i democrat, prosegue Cacciari, devono guardarsi allo specchio e “individuare la faglia che divide la componente socialdemocratica e comunista da una mucillagine di cattolici popolari, grillini, liberali e via dicendo”. Poi, continua l’ex sindaco di Venezia, si proceda con la scissione e la nascita di due formazioni partitiche. “La prima parte può essere validamente interpretata dal minisitro Barca, il cui manifesto è di seria democrazia” E la seconda? Anche qui Cacciari propone un nome: il sindaco di Firenze Matteo Renzi.

Ma c’è chi dice che la spaccatura produrrebbe una crisi irreversibile. “Siamo il partito di Napolitano perché non possiamo essere altro», è sbottato un dirigente, uscendo platealmente. Punto e stop. Infatti, recita il documento approvato (197 i favorevoli su 223 aventi diritto; 14 gli astenuti, tra cui Civati, Gozi, Puppato, Orfini, Fassina e Zampa; 7 i contrari: quasi tutti prodiani e Giovani turchi), il Pd offre “pieno sostegno al tentativo di Napolitano” e “mette a disposizione le proprie forze e le personalità del partito utili a formare il Governo”. Fioroni, D’Alema, Bindi, Veltroni.. . E così al momento si procede, tra postcomunisti e postdemocristiani, sulla falsa riga del dilemma catulliano: nec tecum, nec sine te vivere possum...
                                                                 

Francesco Anfossi

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