Un sms per un futuro senza fame

Oxfam Italia ha lanciato una campagna per sostenere in particolare le donne e le loro comunità di riferimento. Intendono raggiungerne 18.700, in 14 diversi Paesi del Sud del mondo.

Ovini e formaggi per la pace

01/06/2013
Per produrre latte e formaggi ci si organizza in cooperative (foto Scalettari)
Per produrre latte e formaggi ci si organizza in cooperative (foto Scalettari)

Oxfam Italia, sia nei Territori Occupati della Cisgiordania che a Gaza, lavora soprattutto nel settore agricolo e dell’allevamento, come pure nell’organizzazione di cooperative che producono latte e formaggi. La maggior parte dei progetti dell’Ong internazionale è finanziata da Echo, l’agenzia umanitaria dell’Unione Europea per l’intervento d’emergenza. «Si cerca di sostenere le attività economiche, in modo da aumentare la produzione e, di conseguenza, l’autonomia delle famiglie palestinesi e beduine», spiega Umiliana Grifoni, coordinatrice dei progetti. «Operando sul versante agricolo, si rende anche la popolazione più radicata nel territorio, in modo che sia più difficile scacciarla e renderla profuga con un ordine militare, come avviene spesso».

Avviene di continuo, in realtà, che le comunità beduine vengano scacciate. Arif Daraghmeh, di Al Farassyia, nella valle del Giordano, ci mostra la lettera che ordina a lui e a tutta la sua famiglia di andarsene: è datata 27 dicembre 2012. «Dove volete che andiamo? Dobbiamo dar da mangiare ai nostri figli. La vita qui è molto dura. Non è permesso costruire nulla, non è permesso scavare pozzi per usare la nostra acqua, non è permesso fare nulla. In quest’area ci sono 500 piccoli allevatori. La maggior parte di noi ha avuto la lettera di lasciare la zona, perché le strutture verranno distrutte. Il governo israeliano ordina di andare via perché questa è diventata zona militare».





L'agricoltura è uno dei settori in cui intervenire per  aiutare la popolazione (foto Scalettari)
L'agricoltura è uno dei settori in cui intervenire per aiutare la popolazione (foto Scalettari)

“Firing zone”, le chiamano qui, ossia zone che l’esercito israeliano intende usare per esercitazioni.

A Dkeika, nella zona di Hebron, è la stessa cosa. Uno dei capi della comunità beduina, Abu Nasser, spiega che tutte le famiglie hanno già ricevuto l’ordine di evacuazione: si tratta di 300 persone. «Sappiamo che da un giorno all’altro arriveranno le ruspe», dice. «D’altra parte, dove possiamo andare? Hanno vissuto qui i nostri padri e i nostri nonni. Dovremo ricominciare da capo». Dentro l’intera zona destinata a “firing zone” ci vivono circa 2.400 persone, divise nei villaggi di Istay al Foga, Istay al Tahta e Tuba.

Basta qualche dato per comprendere le conseguenze della politica di espulsione praticata da Israele: solo il 14,6% dell’acqua disponibile è utilizzabile dai palestinesi; a loro è proibito scavare pozzi, mentre gli israeliani vanno a intercettare le falde profonde. Fra i Territori Occupati e Gaza, due terzi del territorio agricolo è inutilizzabile perché all’interno delle “buffer zone”, le fasce-cuscinetto dove i palestinesi non possono accedere, oppure all’interno dell’“area C”, ossia in zona proibita, destinata a uso militare dall’esercito israeliano.

Quanto ai commerci, di fatto le esportazioni sono rese impossibili dai controlli, ripetuti ed estenuanti, ma anche dalle procedure imposte dalla dogana israeliana: ad esempio, ogni container di imprese palestinesi costa 700 dollari in più rispetto a uno analogo delle aziende israeliane, perché circa un terzo deve essere lasciato vuoto per i controlli di sicurezza.

Oxfam Italia opera in questo quadro. Il principale settore di intervento sia nei Territori occupati che a Gaza è il sostegno agli allevatori di ovini. Le comunità beneficiarie sono per lo più beduine, vivono nella cosiddetta “Area C”, sotto controllo israeliano. L’obiettivo dei progetti è fornire mezzi per una sussistenza dignitosa e per rendere quindi autosufficienti gli allevatori e le rispettive comunità, generando crescita economica e sviluppo. Gli interventi di cooperazione aiutano a ridurre gli spostamenti forzati e le espulsioni dalle zone “proibite” dall’esercito israeliano. Oxfam agisce sempre in alleanza con partner locali.

Una piccola comunità beduina della Striscia di Gaza (Foto Scalettari).
Una piccola comunità beduina della Striscia di Gaza (Foto Scalettari).

A Tubas, nel Nord della West Bank, l’Ong internazionale sostiene una fattoria modello, che produce anche mangimi e formaggi (è dotata di laboratorio caseario). Nella zona di Hebron (precisamente a Massafar Yatta) Oxfam sta realizzando un progetto finanziato da Echo per il trattamento e il riciclo delle acque reflue utilizzate per la produzione di foraggio, in collaborazione con Uawc, l’associazione degli agricoltori palestinesi. Il progetto, realizzato in un’area con scarsissime risorse idriche, oltre alle valenze ambientali ha un importante significato politico, dato che le autorità israeliane impediscono ai palestinesi di scavare pozzi e captare fonti d’acqua.

A Gerusalemme Est Oxfam sostiene piccoli gruppi di donne delle 29 comunità beduine che producono formaggi e lavori di artigianato artistico (lana e ricamo), che entrano nel commercio della rete equo-solidale in Italia. Venti di queste comunità si trovano intorno ad Adummim Ma'ale e sono a rischio molto elevato di spostamento. Le autorità israeliane, infatti, prevedono di imporre l’evacuazione forzata per ingrandire gli insediamenti dei coloni nella zona.

L’altro importante intervento d’emergenza (finanziato anche questo da Echo, l’agenzia umanitaria dell’Unione Europea, con un milione di euro) riguarda lo sviluppo dei mezzi di sussistenza per i pastori e le famiglie vulnerabili. I beneficiari sono le 2.615 famiglie dei pastori semi-sedentari o sedentari che vivono a Sud di Hebron, a Betlemme, a est della Valle del Giordano e nella Striscia di Gaza, cioè le comunità più colpite dagli effetti negativi del muro di separazione e dagli insediamenti israeliani. L'obiettivo del progetto è prevenire un ulteriore deterioramento delle condizioni di vita tra le famiglie che hanno nell’allevamento la loro principale fonte di reddito. Il progetto prevede l’assistenza veterinaria, la distribuzione di kit sanitari per il bestiame, le vaccinazioni e l’inseminazione artificiale, mentre il trattamento delle acque reflue e la produzione di coltivazioni alternative adatte alla regione semiarida punta ad aumentare la produttività della terra e l’accesso all’acqua.

Infine, la distribuzione di foraggi nella Striscia di Gaza mira a sostenere gli allevatori identificati come i più vulnerabili. Le spese di foraggio costituiscono il 60% del costo sostenuto dagli allevatori, data la scarsità di terreno pascolabile a disposizione.

Luciano Scalettari
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