Aiuti, Occidente sempre più avaro

Cooperazione, allarme Ocse: i Paesi ricchi sono più avari. Con la “Primavera araba” il nostro Paese pare aver invertito il trend negativo. Condonando i debiti e soccorrendo i profughi.

11/04/2012

La crisi globale ha fatto altre vittime: stiamo parlando dei Paesi in via di sviluppo rispetto ai quali, nel corso del 2011, si è registrata una diminuzione, in confronto al trend degli anni precedenti, degli aiuti da parte dei Paesi donatori. Il dato è stato fornito dal Dipartimento cooperazione dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) il cui segretario generale, Angel Gurrìa, ha sottolineato in una nota: «La diminuzione dei contributi è fonte di forte preoccupazione in un momento in cui i Paesi in via di sviluppo ne avrebbero più bisogno dato che sono stati colpiti dalla crisi con una sorta di "effetto moltiplicatore"... Mi congratulo con i Paesi che stanno mantenendo i loro impegni, nonostante a loro volta soggetti a duri piani di risanamento fiscale. Ma proprio tali Paesi dimostrano che la crisi non deve essere utilizzata come una scusa per ridurre i contributi di cooperazione allo sviluppo».


Poche parole che vanno dritte al cuore del problema: nessuno si deve sottrarre alle proprie responsabilità e agli impegni assunti pur in un momento di difficoltà, anzi. Nel 2011 i Paesi membri del Dac (comitato di aiuto allo sviluppo interno all'Ocse) hanno elargito 133,5 miliardi di dollari alla rete di assistenza ufficiale allo sviluppo: una cifra che equivale allo 0,31% del loro reddito nazionale lordo. In termini reali, rispetto al 2010, c'è stato un calo del 2,7%. 

Nel 2011 i Paesi più "generosi" sono stati, nell'ordine, Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia e Giappone. A seguire Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia. In termini reali, in rapporto al Pil, gli aumenti più consistenti nell'aiuto pubblico allo sviluppo vedono però primeggiare l'Italia, seguita da Nuova Zelanda, Svezia e Svizzera.

In testa a questa speciale classifica ci siamo proprio noi, che negli ultimi anni abbiamo abbondato in promesse e lesinato stanziamenti, non brillando certo per la capacità di staccare assegni contro la fame, contro le malattie, contro l'analfabetismo. Si piò parlare di una vera inversione di rotta? La risposta effettivamente c'è e risiede, in buona parte, nelle conseguenze della “Primavera araba”. Gianfranco Cattai, presidente dell'Aoi (Associazione Ong italiane) spiega che la crescita italiana «si deve solo alla contabilizzazione delle operazioni di remissione del debito, alla concessione di crediti d'aiuto e agli interventi di emergenza per i rifugiati rivolti ai Paesi del vicino Mediterraneo finanziati attraverso fondi arrivati in Italia tramite agenzie internazionali, erogati per esempio in occasione dei recenti conflitti in nord Africa». In altre parole si tratterebbe di «dati falsati da quel meccanismo che da diversi anni definiamo contabilità creativa che determina una falsa crescita del nostro Paese, come del resto sottolinea lo stesso rapporto Ocse. In questo modo i Paesi in via di sviluppo sono colpiti due volte: prima per la crisi economica che stanno subendo per colpa dei paesi del Nord, e in secondo luogo per gli effetti degli aiuti mancati».

Per leggere l'intero rapporto consultare il sito www.oecd.org

Alberto Picci
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Postato da sun il 12/04/2012 14:36

Vorrei evidenziare ciò che ha detto e promesso la sign. di Maria Pia Bertolucci, vice-presidente del Centro nazionale volontariato: "Viviamo un momento di forte scollegamento tra società civile e politiche ed è pertanto urgente riscrivere un nuovo patto tra volontariato e istituzioni. E’ impensabile che lo Stato continui a riconoscere il volontariato come soggetto marginale della società, anche perché il volontariato oggi è più credibile della politica. Il volontariato in quanto espressione diretta delle realtà del territorio, delle singole comunità, non può sottrarsi dal compito di riallacciare relazioni, ristabilire forme di collegamento non solo per fare servizi, ma per contribuire ad uno sviluppo di una cittadinanza attiva, per continuare ad essere soggetto di cambiamento culturale in una comunità, e non un semplice erogatore di servizi."

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