Il lungo cammino della pace

La Marcia Perugia-Assisi festeggia i 50 anni di vita. Cronaca, testimonianze, riflessioni di un appuntamento che è rimasto coscienza critica per un modo lacerato da odio e guerre.

Oltre 200 mila persone fra Perugia e Assisi

25/09/2011
Foto di Roberto Brancolini
Foto di Roberto Brancolini

Oltre 200 mila persone. La 19° edizione della Marcia per la Pace e la Fratellanza fra i popoli «è stato uno straordinario successo», come ha commentato a caldo il coordinatore della Tavola della Pace Flavio Lotti.

     La coloratissima processione, partita come da tradizione alle 9 del mattino dai Giardini del Frontone di Perugia, ha sviluppato un corteo di 20 chilometri di persone, senza soluzione di continuità, per chiudersi alla Rocca di Assisi, dove a partire dalle 15,00 si susseguono gli interventi finali.

     Alla Marcia 2011 hanno aderito oltre 1.000 scuole, enti locali, associazioni da tutte le regioni e da tutte le province italiane. Ma la presenza particolare è stata senz’altro quella degli ospiti internazionali provenienti dai Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente che hanno vissuto le “primavere arabe”, i movimenti per la democrazia del Maghreb.

     Tra i simboli di questa edizione della marcia, un passaggio di testimone della bandiera della pace, usata per la prima volta nel 1961, dai giovani di allora a quelli di oggi; un trattore con un mappamondo, in ricordo di quello dei fratelli Cervi (i sette contadini trucidati dai nazi-fascisti nel 1943), scelto come simbolo di speranza in un futuro in cui l'agricoltura potrà sostenere il pianeta; e ancora, una barca per ricordare le 1.500 persone che da marzo a oggi hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo e raggiungere le nostre coste.

     Come 50 anni fa, la marcia si è conclusa con la lettura di una “Mozione della Pace”: allora fu letta da Aldo Capitini, quest’anno saranno i giovani, cui è stato dedicato il Meeting dei 1.000 giovani per la pace, a leggere il documento dal palco della Rocca di Assisi.

Foto di Roberto Brancolini.
Foto di Roberto Brancolini.

Quanto alle ragioni del marciare, a cinquant’anni da quella prima processione di 20-30 mila persone promossa da Capitini, ecco le opinioni di qualcuno dei partecipanti.

      Alex Zanotelli, padre comboniano: «Aldo Capitini è stato essenzialmente un discepolo di Gandhi. Il messaggio di oggi, forse più ancora di quello di allora, è che – come diceva Gandhi – o scegliamo la non violenza attiva o siamo destinati ad autodistruggerci. E questo necessità un grande e profondo cambiamento».

     Padre Renato Kizito Sesana, missionario a Nairobi: «Quest’anno sono qui con altri amici kenyani, che vogliono continuare a seguire questo cammino di pace. Veniamo da un Paese che soffre una terribile siccità, causata anche da errori politici e dagli squilibri del pianeta. Siamo in un Paese, il Kenya, dove c’è una grande crescita economica, di cui gode una piccolissima parte della popolazione, mentre la stragrande maggioranza vive una povertà che è una sorta di schiavitù economica. Marciare per la pace significa anche impegnarsi per cambiare queste ingiustizie che coinvolgono milioni di persone nel mondo».

     Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera: «Pace non è solo assenza di guerra e di conflitti. C’è un’altra guerra che vede l’impoverimento materiale e sociale delle persone, c’è l’impoverimento etico e della moralità pubblica. Ma soprattutto c’è molta disuguaglianza nel nostro Paese. Il 10 per cento delle persone ricche detiene il 50 per cento della ricchezza. E in questo momento di crisi economica non si va a tassare quella parte più ricca. Se mettiamo insieme le varie forme di illegalità vediamo che i profitti delle attività criminali nel loro insieme assommano a 560-570 miliardi di euro: la politica deve andare là a prendere il soldi che occorrono al bene comune e allo stato sociale. Allora, questo è il messaggio che vorrei lasciare ai giovani che partecipano oggi alla Marcia: occorre vivere per la pace, non vivere in pace. Sono tanti ad essere pronti a farlo. Qui tra Perugia e Assisi ce ne sono diverse migliaia; e vorrei ricordarne altri 4.500 che questa estate hanno fatto volontariato nei campi di lavoro sui beni confiscati alle mafie. La speranza o è di tutti o non è una speranza».

don Luigi Giotti al Meeting dei giovani di Bastia Umbra (Foto di Roberto Brancolini).
don Luigi Giotti al Meeting dei giovani di Bastia Umbra (Foto di Roberto Brancolini).

     Aluisi Tosolini, professore e dirigente scolastico: «Qui vedo decine di migliaia di studenti, molti dei quali il 23 e 24 settembre hanno dato vita al Meeting “1.000 giovani per la pace”, in preparazione alla marcia. Ebbene, al Meeting si è parlato molto di scuola. Si è detto che se non vuole ridursi a fare la badante o la tour operator di giovani sempre più instupiditi è chiamata a fare il suo compito nell’aiutare i ragazzi a diventare cittadini adulti e critici. Al Meeting si è detto che è ora di dire basta alla “manomissione delle parole”, come dice Carofiglio: si parla di “missioni umanitarie” o  di “interventi chirurgici” per non usare la parole giuste, che sono guerra e violenza, come pure l’economia ingiusta che c’è dietro. La scuola deve saper costruire una nuova narrazione con le parole giuste della pace. Gli adulti spesso rovesciano sui giovani il proprio fallimento, per cui vorrebbero dai giovani quella ribellione al mondo che quegli stessi adulti hanno rovinato. Ecco, credo che la scuola sia un luogo dove costruire comunità e costruire pace».

     Roberto Natale, Presidente della Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana): «Non vogliamo farci sequestrare il diritto di sapere. Giovedì 29 settembre il popolo della pace e della libertà d’informazione si trova a Piazza del Pantheon a Roma, alle 15, in ideale continuità con la Marcia di oggi. Perché? Perché quel giorno il Governo Berlusconi riporta in aula il decreto legge sulle intercettazioni che ci scipperà del diritto di sapere, che renderà ai magistrati difficile indagare e ai giornalisti impossibile raccontare i fatti. Un’altra legge ad personam. Non se ne può più. Ogni volta che uno scandalo colpisce il Presidente del Consiglio, il Governo torna a voler limitare la libertà d’informazione. Non ce la faremo togliere, questa libertà».

Luciano Scalettari
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