Quelli che... è meglio l'incubatore

Viaggio nella realtà di Fab, il social network delle start up pensato per chi è disoccupato ma ha idee imprenditoriali vincenti per lo sviluppo sociale

Tiziana Perin

09/01/2013

Come ti sei avvicinata a Fab?

«Luglio 2012: “Ciao Tiz, l’altra sera sono stata ad un’inaugurazione della Cooperativa Itaca di “qualcosa” per cui se presenti l’idea per un progetto te la finanziano”. “Ma sei sicura?”. “No”. “Andiamo a leggere cosa dicono nel sito?”. “Sì” E così è stato, ci siamo fatte un’idea di cosa fosse e cosa offrisse Fab e poi ci siamo presentate all’Open Day. Da una chiacchierata a braccio con Massimo Tuzzato, area Ricerca e sviluppo di Itaca, è nata l’idea che poi abbiamo sviluppato e presentato alla selezione».

Da quali fasi è scandita la vita quotidiana nel generatore d’impresa?
«C’è un calendario di Academy (la parte formativa proposta da Itaca), che è in continua evoluzione e si modella sulle esigenze che emergono man mano, a seconda delle nostre competenze e dei nostri progetti. Intervengono membri della Cooperativa sociale Itaca ed esperti esterni di varie aree. Con i consulenti di comunicazione di Dof Consulting, oltre a fare formazione, portiamo anche avanti il progetto “The Village”, un modo interessante di individuare, analizzare e sviluppare le nostre competenze sociali. Ci siamo noi fabers, che lavoriamo individualmente o in gruppo ai nostri progetti, tra una risata, un pranzo riscaldato al microonde, un lavaggio di tazzine del caffè in bagno e qualche confidenza… C’è Christian Gretter, il coordinatore del progetto, il nostro funambolo tentacolare sempre ottimista, motivante, e rassicurante… buena onda. E poi c’è Fabio Della Pietra, dell’ufficio stampa di Itaca, che scrive, posta, fotografa, documenta e ci ripete sempre: “taggatevi!”».

Come si sta sviluppando la tua idea imprenditoriale?
«La mia idea è l’apertura di una scuola dell’infanzia bilingue. Per concretizzarla, sto facendo un “bagno di legge”, cercando e studiando tutta la normativa di riferimento; sto facendo un’analisi della concorrenza, visitando e interrogando tutte le scuole bilingui presenti nel raggio di un centinaio di chilometri; sto facendo ricerche in internet per trovare possibilità di entrare in rete con altre scuole eccellenti; sto riflettendo come mamma su quello che voglio e quello che manca a Pordenone; sto usando un po’ di fantasia e visione per dare corpo all’idea e, infine, sto mettendo a frutto i miei studi di progettazione per scrivere al meglio la mia proposta».

Alberto Picci
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