19/02/2013
(Alessia Giuliani / Cpp)
Dopo le dimissioni di Ratzinger, la Chiesa non è più la stessa. E lui continuerà a servirla nella preghiera.
Un gesto, quello di Benedetto
XVI,
davvero rivoluzionario
e profetico, per un
Papa considerato tradizionalista
e conservatore. E per una Chiesa,
oggi, immobile, in difficoltà di
fronte a un mondo in continua
evoluzione. Ma anche indifferente
– che è peggio dell’ostilità –
all’annuncio del Vangelo. Dopo
le dimissioni di papa Ratzinger,
la Chiesa già non è più la stessa.
Né, a maggior ragione, potrà esserlo
dal prossimo Conclave. Il
nuovo eletto dovrà pensare alla
Chiesa del futuro e alle sfide del
mondo contemporaneo.
Anche se il Codice di diritto canonico
prevede la possibilità delle
dimissioni, Benedetto XVI ha
rotto una tradizione secolare. Ha
fatto il gesto più significativo del
suo ministero “petrino”. Una scelta
coraggiosa, che sollecita la Chiesa
a rinnovarsi e purificarsi dalle
incrostazioni del tempo e dai
“peccati” dei suoi rappresentanti.
A ogni livello. È stata una scossa
salutare per tutti, quasi una
sferzata. Un richiamo all’umiltà
evangelica, in una logica di servizio,
lontana da lotte di potere e
ambizioni di carriera.
Benedetto XVI non è “sceso
dalla croce” per “viltà”, ma perché
impossibilitato fisicamente a
svolgere al meglio il ministero
per il quale era stato chiamato.
Continuerà a servire ugualmente
la Chiesa con la preghiera, stando
vicino alla tomba di Pietro, nascosto
al mondo all’interno delle
mura vaticane. Chi gli succederà
avrà la strada segnata dal richiamo
all’unità e alla testimonianza
evangelica. In più occasioni, e
con coraggio, Ratzinger ha denunciato
le tante “sporcizie” nella
Chiesa, già da cardinale.
La sofferta decisione di Benedetto
XVI ha sorpreso il mondo
cattolico, ma anche i non credenti.
Il Papa delle “grandi parole”
passerà alla storia per un “grande
gesto”, che rilancerà il Concilio
e il suo spirito più genuino, affievolitosi
nei cinquant’anni che
ci separano dal suo inizio.
Il nuovo Papa, più che indire
un nuovo Concilio, dovrà dare
piena attuazione al Vaticano II,
rimasto incompiuto. E, in alcuni
casi, interrotto, per non dire regredito.
Dovrà affrontare, tra le
grandi sfide d’oggi, quelle del secolarismo,
del relativismo etico e
dei nuovi confini della vita, con
un’effettiva collegialità dei vescovi
e una piena corresponsabilità
dei laici. E rilanciare la Chiesa come
“popolo di Dio”, dove la gerarchia
è al servizio dei fedeli,
non il contrario.
Il tutto in uno spirito di profonda
conversione. L’11 ottobre
scorso, ricordando l’anniversario
dell’inizio del Concilio, Benedetto
XVI ha detto:
«Abbiamo
esperito che il peccato originale
esiste e si traduce in peccati personali
che possono diventare
strutture di peccato, che nel campo
del Signore c’è sempre zizzania,
che nella rete di Pietro si trovano
anche pesci cattivi, che la
nave della Chiesa sta navigando
anche con vento contrario in
tempesta. E qualche volta abbiamo
pensato: il Signore dorme e
ci ha dimenticato».
Concetti ripresi e ribaditi,
nell’omelia del rito delle Ceneri,
mercoledì 13 febbraio scorso, denunciando
l’individualismo e le
divisioni, come l’«ipocrisia religiosa
», chi «vuole apparire» e
chi «cerca l’applauso e l'approvazione
». «Le divisioni ecclesiali»,
ha ammonito il Papa, «deturpano
la Chiesa, bisogna superare
le rivalità».
Tutti, oggi, siamo tristi e disorientati
per le dimissioni di Benedetto
XVI. Ma la sua fragilità
e umiltà ci riconciliano con
una Chiesa più evangelica, più
vicina e in cammino con gli uomini
del nostro tempo, per condividerne
«gioie e speranze»,
ma anche «tristezze e angosce»,
come ricorda la Gaudium et
spes. Ora, davvero, Benedetto
XVI è entrato nel cuore della
gente. E vi resterà per sempre,
come un grande Papa.
Antonio Sciortino