19/02/2013
A sinistra: Benedetto XVI parla ai i cardinali al termine di un incontro, il 3 marzo 2012 (Osservatore Romano / Reuters - Giancarlo Giuliani).
Non un illustre studioso
che parla agli addetti
ai lavori, ma un umile
servitore della fede,
che accompagna credenti
e non alla ricerca di Dio.
Nel corso di questi otto anni di
pontificato, la predicazione e
la
catechesi di Benedetto XVI hanno
prodotto un gran numero di scritti
(discorsi, omelie, messaggi...).
Se uno
avesse la pazienza di scorrere i 13 volumi
già pubblicati dei suoi Insegnamenti,
potrebbe facilmente notare non solo la grande ricchezza di contenuti teologici
e spirituali, ma anche la limpidezza
di scrittura con cui il Papa li rende accessibili
al vasto pubblico.
Del resto, con il
suo tipico procedere teologico-narrativo
e meditativo-spirituale, Benedetto
XVI non vuole soltanto scavare nella parola
di Dio per estrarne tutti i possibili
significati, ma cerca anche di attualizzare
i testi, così che essi non restino soltanto
un insieme di pagine interpretate
e commentate, ma diventino parole vive,
che coinvolgono profondamente
l’esistenza di chi vuole davvero incontrarsi
con Gesù.
Il teologo o l’esegeta che Ratzinger
era non soffocano mai in lui il pastore
d’anime che è diventato. Uno è intrecciato
e interagisce con l’altro. Anzi, con
il passar degli anni, si direbbe che si comincia
ad apprezzare sempre più, accanto
all’acume intellettuale che già ci
era familiare dalle sue opere precedenti,
l’afflato spirituale con cui il Papa si mette al servizio della Parola. Ci si rende
conto, in sostanza, che Benedetto
XVI non parla soltanto da teologo – tra
l’altro per niente freddo, come a volte
gli è stato rimproverato –, ma al contrario
da interprete che comunica con semplicità
il messaggio da annunciare
all’uomo d’oggi.
Questa è stata una grande sorpresa
agli inizi del suo pontificato. Venendo
dopo una figura carismatica come quella
di Giovanni Paolo II, l’opinione pubblica
si era fatta di Benedetto XVI un’immagine
falsata o parziale, ritenendo
che il nuovo Papa non potesse esercitare
alcun fascino particolare e soprattutto
non potesse avere quei doni comunicativi
che avevano reso grande il suo
predecessore. Invece, a poco a poco, la
gente si è ricreduta; ha capito che non
aveva di fronte l’illustre teologo che
parlava agli addetti ai lavori, ma un
umile servitore della fede, che cercava
di accompagnare credenti e non credenti
alla ricerca di Dio e di sé stessi.
Parole vane senza la fede
Benedetto XVI si è spesso soffermato, parlando dei maestri della fede e illustrando il loro pensiero, sulla natura e il compito della teologia e su quale dev’essere dunque la missione a cui è chiamato il teologo. Dalle sue riflessioni e dalle sue critiche, si comprende bene come egli intenda il “pensare” della teologia: ogni parola è vana se non si radica nell’essenza della fede custodita dalla Chiesa, perché la teologia non annuncia teorie personali, col rischio di diventare specchio soltanto di sé stessa, ma annuncia e insegna la fede della Chiesa. Un altro cardine del suo modo di intendere la teologia – che si riflette nella metodologia, nei contenuti e nello stile dei suoi scritti – consiste in questo: la teologia autentica sta nel suo nesso inseparabile con la vita spirituale, nella sua tensione costante alla santità.
La credibilità e la sussistenza della teologia sono date dalla preghiera e dalla testimonianza cristiana, che sono anch’esse il sostrato della parola del teologo. Senza questa inscindibile unità, la teologia resta «seduta a tavolino» – secondo la felice immagine di von Balthasar –, ossia è soltanto un involucro di parole sterili, che ricadono su sé stesse come fiori appassiti, perché non ricevono l’acqua viva della fonte originaria. Al contrario della teologia “prostrata in ginocchio”, cioè la teologia che prega e che per questo porta frutto, avendo dentro di sé il seme che la feconda.
Ecco perché i santi, anche se non hanno scritto nulla e sono stati spesso poveri d’istruzione, sono i primi teologi della Chiesa: perché pregano, amano e, guidati dallo Spirito, insegnano la dottrina attraverso il dono del loro esempio, al centro del quale non ci sono le loro idee o le loro parole, ma unicamente il pensiero e il cuore di Cristo, di cui vivono e riflettono la luce nella Chiesa e nel mondo.
Questa è la teologia, per così dire, in atto, che testimoniando con la santità della vita la verità e l’amore di Dio, spiega e genera la fede. Spesso tra l’esegesi storico-critica contemporanea e l’esegesi antica della Chiesa è venuta a crearsi una frattura profonda, come uno spartiacque tra antico e nuovo mondo: il nuovo mondo (l’esegesi moderna) non può andare insieme con quello antico (l’interpretazione tradizionale della Chiesa).
Giuliano Vigini