19/02/2013
Benedetto XVI al lavoro durante un periodo di vacanza a Castel Gandolfo.
Un incontro di 25 anni
fa a Bressanone.
«Trovai una persona
tra le più cortesi,
addirittura timide che
avessi mai conosciuto».
Mi chiedono, i colleghi, di raccontare
almeno gli inizi di un
incontro, che dura da più di
25 anni, con quell’uomo la cui rinuncia
al ministero ha commosso un miliardo
di cattolici e messo a rumore il mondo
intero. E mi raccomandano di non esitare
a seguire “una linea personale”.
Lo faccio volentieri, ma con un poco
di malinconia: con la fine imprevista
del pontificato di Benedetto XVI termina
anche (per quel poco che vale) la parte
centrale, la più impegnata del mio
percorso professionale.
Sento un po’ di
disagio nel lasciarmi andare all’autobiografismo,
ma non aderisco così solo al
desiderio del giornale: a scusarmi c’è
pure il fatto che questa piccola storia si
intreccia anche con le vicende del Gruppo
che edita questo settimanale.
Capitò infatti che, alla fine del 1978,
lasciassi sia una città che un quotidiano
che amavo (Torino e La Stampa),
accettando
l’invito dell’indimenticabile don
Zilli di creare il mensile religioso di Famiglia
Cristiana, dandogli il nome più
impegnativo.
Nientemeno che Jesus: alla
latina, non all’inglese come, con mio
disappunto, ho sentito tante volte pronunciare...
La convocazione a Milano
era dovuta al singolare, imprevisto successo
del mio primo libro, Ipotesi su Gesù,
che aveva segnalato all’attenzione
quello che ero sino ad allora e che non
mi dispiaceva affatto: un semplice, tranquillo
redattore dell’inserto culturale
del quotidiano di Casa Agnelli.
Il custode dell’ortodossia
La redazione iniziale del nuovo mensile
era ridotta all’estremo: un direttore,
don Antonio Tarzia, il sottoscritto e
una giovane e brava segretaria, Maura
Ferrari. Con don Totò, come noi amici
lo abbiamo sempre chiamato, decidemmo
che il piatto forte di ogni numero
fosse una lunga, approfondita intervista
con i maggiori protagonisti del pensiero
– cristiani, di altre religioni, agnostici
o atei – dal titolo Dialoghi su Gesù.
Ne nascerà, dopo anni, un libro, che è
tuttora nel catalogo degli Oscar Mondadori,
Inchiesta sul cristianesimo.
Ogni mese aggiungevo il ritratto di
una persona autorevole alla mia collezione
ma, a partire da una certa data, cominciai
ad accarezzare un sogno: poiché
tutto il mio indagare era attorno alla
fede, perché non interrogare colui
che – nella Chiesa cattolica – era il custode
dell’ortodossia? Paolo VI aveva profondamente
rinnovato quello che era
stato il Sant’Uffizio.
Per succedere alla
temuta istituzione, era stata creata una
nuova Congregazione, detta “della Dottrina
della Fede”. A dirigerla, Giovanni
Paolo II aveva poi chiamato l’arcivescovo
di Monaco di Baviera, già professore
universitario di teologia, tal Joseph Ratzinger.
Di lui avevo letto una Introduzione
al cristianesimo che avevo apprezzato,
così come apprezzai le dichiarazioni
e i documenti che cominciò a produrre nel suo nuovo servizio romano. Fui
colto da una sorta di pensiero fisso:
quel cardinale bavarese era l’uomo che
mi occorreva per completare alla grande
la mia serie dei testimoni della fede!
I pochi cui ne accennai mi guardavano
con un sorrisetto ironico; qualcuno
mi consigliava, un po’ beffardo, un periodo
di riposo, essendo evidente che
cominciavo a vaneggiare.
Ma, insomma,
mi rendevo conto che, malgrado il
cambio di nome, quella era pur sempre
l’erede diretta del Sant’Uffizio degli inquisitori,
la sola Congregazione della
Chiesa il cui archivio fosse ancora rigorosamente
sigillato, l’istituzione che
del segreto e del silenzio aveva fatto la
sua essenza? Sì, mi rendevo conto.
Eppure... Eppure, successe che la vigilia
del giorno di Ferragosto del 1984
passeggiassi davanti al portone del
grande seminario di Bressanone attendendo sua eminenza Joseph cardinal
Ratzinger che mi aveva dato appuntamento
non per un paio d’ore ma per,
addirittura, tre giorni.
il cardinale Ratzinger con Messori.
Una piazzetta di Bressanone
Il progetto non era una breve intervista
per un giornale, ma una conversazione
a tutto campo che diventasse un
libro: editore, ovviamente, la San Paolo,
anche perché (glielo riconosco volentieri
e grato) il direttore don Totò era
stato tra i pochi che non mi avesse considerato
farneticante, anzi si era dato
da fare lui pure per raggiungere l’obiettivo
che sembrava utopico.
Passeggiavo dunque nella piazzetta
di
Brixen-Bressanone aspettando qualche
nera limousine targata SCV. Invece
arrivò una Volkswagen targata Regensburg,
guidata da un signore dall’aria
bonaria (seppi poi che era il fratello) e
ne uscì un sacerdote in un modesto clergyman
da parroco, con un volto da ragazzo
cui faceva da curioso contrasto la
corona dei capelli già tutti bianchi. Ma
sì: era “lui”. Tre giorni dopo, sarei uscito
da quel portone con, nella borsa da
viaggio, una ventina d’ore di registrazione
che avrebbero agitato la Chiesa intera
e che ancor oggi sono ristampate
in molte lingue, sotto il titolo di Rapporto
sulla fede.
Iniziava così un incontro che, seppur
in modo ovviamente discontinuo, si sarebbe
protratto nel tempo, con incontri
(fino a uno piuttosto recente) che mi
permisero di approfondire la conoscenza
dell’uomo.
Il quale mi parve subito
il contrario stesso della ”leggenda nera”
creata su di lui. Invece di un temibile
Grande Inquisitore trovai una persona
tra le più cortesi, miti, addirittura timide
che avessi mai conosciuto.
Con rispetto e rammarico
Invece di un fanatico ideologo, trovai
un uomo pronto ad ascoltare, a capire,
a interpretare al meglio il pensiero
del suo interlocutore, fermo sull’essenziale
ma elastico sull’accessorio. Invece
di un prete tetro e arcigno, trovai una
persona dotata di un piacevole humour,
pronta a sorridere e a replicare,
con finezza, alla battuta. Invece di un
uomo arroccato nel passato, trovai una
persona curiosa e informata non solo
dell’andamento degli studi teologici e
filosofici, ma anche di ciò che di importante
avveniva nel mondo.
Invece del
cardinale arrampicatosi sino alla porpora,
trovai un sacerdote sorpreso di
quanto gli era successo, che aveva accettato
le alte nomine solo per amore della
Chiesa e che parlava con un po’ di
rammarico degli studi interrotti, dei
progetti editoriali rimandati sine die.
Non era facile, nel clima ecclesiale di
allora, far passare questa immagine, la
vera, del presunto erede degli inquisitori,
per giunta tedesco e con un passaggio
(obbligato, alla pari di ogni suo coetaneo)
addirittura nella Hitlerjugend.
Forse, soltanto dopo l’elezione al papato
la Chiesa e il mondo hanno pian piano
scoperto chi fosse davvero l’autentico
Ratzinger.
Molti, moltissimi, scoprendolo
l’hanno amato.
E ora, rispettano la sua scelta ma si
rammaricano alla prospettiva di non vederlo
e sentirlo più ripetere – amabilmente,
non minacciosamente – le verità
che la Chiesa annuncia.
Vittorio Messori