13/06/2013
La Rocinha, una delle più grandi e famose favela di Rio de Janeiro. Foto di Gabriele Basilico.
Samba, sole, mare, spiagge, Ipanema, Copacabana, il calcio, il Pan di zucchero, tutto questo è il “fiume di gennaio”, Rio de Janeiro. Tutto? No, solo una parte. Poi c’è l’altra Rio, che si cerca di non guardare mai, ma che esiste. È la Rio delle baraccopoli, delle favelas,che l’Unicef (www.unicef.it) non vuole chiamare così, ma definisce “comunità”, perché è lì, nelle comunità, che il Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia svolge un’intensa attività per riscattare la vita di centinaia di migliaia di bambini e adolescenti, coinvolgendo il più possibile vari protagonisti sociali.
Le favelas, le comunità di Rio, sono 64 e quella di Maré ne è un esempio. Qui vivono circa 200 mila persone. Il 50 per cento dei ragazzi non va a scuola, letteralmente, perché l’istituto scolastico è uno soltanto. E c’è anche, lusso apparente, un ospedale,ma accoglie solo persone in fin di vita. C’è una sola stazione di polizia, ma è corrotta, dicono tutti. Lo scorso anno,in media, alla fine di ogni settimana si contavano otto morti per guerre tra fazioni. Molti potenti considerano le persone di Maré “spazzatura”.
Ma l’Unicef, in questa come nelle altre comunità della città, oltre
alle classiche campagne di vaccinazione, di lotta alla malnutrizione e
all’analfabetismo, opera col “Progetto piattaforma dei centri urbani”,
in collaborazione coi governi locali e una Ong.
Scopo del progetto è
la partecipazione diretta dei minorenni in politiche che tutelino i
loro diritti,e la creazione di una sinergia tra governi locali, società
civile e privati.Le proposte dei ragazzi su ambiente,educazione, salute,
sicurezza, trasporti,sono state presentate ai candidati per le elezioni
comunali. Così sono nati i citadelos, spazi d’incontro su cosa manca in
città, su come si può lavorare con le reti giovanili, su cosa migliorare
nella regione, ed è stata realizzata una guida, Come fondare un
citadelo, distribuita nella comunità.
Il rapporto del 2012 dell’Unicef – Figli delle città, la condizione dell’infanzia nel mondo – descrive la realtà brasiliana come una di quelle da continuare a tenere sotto stretta sorveglianza. San Paolo è la terza città più popolosa del mondo, con 20 milioni di abitanti. Rio, 12 milioni di abitanti in tutto, è la 14ª.
«Oggi
il 50 per cento della popolazione mondiale vive in aree urbane ed entro
la metà di questo secolo arriverà a oltre due terzi. Seguiamo con
attenzione i bambini e i ragazzi che vivono negli ambienti urbani del
mondo; sono più di un miliardo e il loro numero continua ad aumentare»,
assicura il presidente di Unicef Italia Giacomo Guerrera.
Per
capire quanto sia fragile la vita in Brasile, il rapporto sottolinea, ad
esempio, un dato del 2003: «Per ogni grado d’aumento di temperatura
oltre i 20° si è verificato un aumento pari al 2,6 per cento della
mortalità trai bambini sotto i 15 anni. I disastri colpiscono
soprattutto i residenti urbani, più svantaggiati proprio per il degrado
in cui sono costretti a vivere».
Il Brasile ha fatto passi da gigante, ma non basta. Ecco perché
l’Unicef cerca la collaborazione fattiva delle autorità locali e delle
Ong. Il sindaco di Sobral, 188 mila abitanti di cui più di un terzo
sotto i 19 anni, nel Nordovest, collabora con l’Unicef e afferma: «Sono
le storie individuali a dirci che stiamo aiutando gli adolescenti a
prendere decisioni a vantaggio delle loro comunità.
In un incontro per
valutare l’impatto del progetto Unicef, un ragazzo disse che molti suoi
amici si erano persi tra droga e criminalità. Lui aveva trovatole
motivazioni per farcela. A 16 anni è entrato nel programma di formazione
professionale del laboratorio scolastico. Ora, dieci anni dopo, è
docente di restauro storico».
Manuel Gandin
a cura di Alberto Chiara e Antonio Sanfrancesco