24/11/2012
Il giorno della festa è sacrosanto anche per gli economisti. Ce lo spiega Stefano Zamagni, pioniere degli studi sul terzo Settore e massimo studioso in Italia di economia sociale. «Festa e riposo sono due parole diverse. Fino a trent’ anni fa coincidevano. La domenica in famiglia era fuori discussione anche per i datori di lavoro, non solo per motivi umanitari ma anche per motivi funzionali: l’operaio, per ripartire, aveva bisogno di una pausa per rinvigorirsi e coltivare i suoi affetti».
Ma da trent’anni a questa parte, ovvero dall’inizio della globalizzazione, festa e riposo sono diventati due parole diverse. «Il riposo è generalmente accettato persino dalle multinazionali, sempre per gli stessi motivi funzionalistici: il commesso, l’impiegato, l’operaio devono riposarsi.
La festa, invece, per via delle grandi immigrazioni e del melting pot di etnie
non sempre coincide: per il musulmano
è il venerdì, per il cattolico è la domenica». Zamagni è convinto che i due concetti debbano ritornare a sovrapporsi: «La ragione è semplice: fermarsi tutti quanti insieme è garanzia di unità familiare, e quindi di felicità. Ma per essere uniti, si ha bisogno di tempo. Se un padre segue turni di riposo diversi dalla madre, i figli non vedranno mai contemporaneamente i genitori. La casa non è mai piena, è come un albergo, non sono possibili nemmeno le feste di compleanno. Quello della famiglia non è solo un sacrosanto diritto, ma anche un bene relazionale economicamente funzionale. La festa-riposo dunque
è il mezzo con cui l’unità familiare viene esaltata, la grande opportunità per generare felicità. Per non parlare della dimensione spirituale della domenica. Abolire la festa
è l’espressione di chi ha una visione puramente materialistica della vita e della società. E tra l’altro nessuno è mai riuscito a dimostrare che tenendo aperto la domenica aumentano i consumi e i fatturati».
Francesco Anfossi
A cura di Alberto Chiara