24/11/2012
Tiiana D'Andrea. Foto di Alberto Bevilacqua.
In negozio tutte le sante domeniche dell’anno? Dopo che, per tutta la settimana, una è uscita di casa alle otto del mattino per rientrarvi alle otto di sera? No, grazie: è troppo. E a luglio ha smesso di lavorare. Per riprendere a vivere. Metà dei suoi 42 anni, Tiziana D’Andrea, trevigiana, figlia di commercianti, li ha trascorsi dietro un bancone o una cassa, da commessa. Nel settore, non s’è fatta mancare nulla, lavorando sia in un grande centro commerciale che in un call center. Ultimamente era assunta in una boutique del centro, a Treviso.
«Poi è arrivato il decreto Salva Italia», spiega, «che in nome della liberalizzazione stabilisce l’apertura degli esercizi commerciali 24 ore su 24, sette giorni su sette, e ho detto basta: scelgo di stare con mio figlio, che oggi ha 14 anni, e con mio marito. Battendomi contro le domeniche lavorate, che distruggono la famiglia». Non le importa molto se con uno stipendio in meno in casa, s’è stretta la cinghia: «Abbiamo messo in pratica la cosiddetta decrescita felice: meno consumi, più relazioni. Al posto dell’ultimo modello di cellulare, mi prendo più tempo per stare assieme ai miei».
L’ex commessa in pochi mesi è diventata, senza volerlo, la leader veneta della protesta contro le domeniche lavorate. «Se, come capita a me, hai un marito anch’egli costretto a lavorare di domenica, non hai più vita familiare. E non basta certo il giorno di riposo compensativo, che spesso resta un diritto solo sulla carta, specie se si è dipendenti di piccole attività commerciali: che te ne fai, infatti, del lunedì mattina quando i tuoi figli sono a scuola e il marito in ufficio? La domenica è da sempre l’unico giorno in cui possiamo dedicarci ai nostri affetti e al riposo. Con la liberalizzazione che ne resta del valore civile della festa? Che importanza diamo al nostro essere genitori?».
Grazie a Internet, Tiziana ha scoperto che erano in molti a pensarla come lei. E non solo tra dipendenti e commesse, ma anche tra gli stessi titolari di negozi ed esercizi pubblici. È entrata nel gruppo Facebook Domenica NO grazie, fondato in Toscana, e ha aperto quello veneto, che oggi conta 550 aderenti. «Qualcuno, solo per essersi iscritto, rischia ritorsioni o addirittura il posto. Ed è costretto a mantenere l’anonimato». Tiziana tira dritto e mette davanti la sua di faccia, tanto adesso non ha padroni a cui rispondere ed è «mamma a tempo pieno», come indica nel suo profilo Facebook. «Questa battaglia, che vede per la prima volta protagoniste le commesse, categoria ritenuta da sempre poco incline a scendere in piazza, è completamente autogestita, nata fuori dalle sedi di partito o del sindacato che, peraltro, non scommetteva nulla su di noi». Solo la Chiesa appoggia le rivendicazioni dei movimenti spontanei sorti contro le liberalizzazioni selvagge, ma senza imporre etichette confessionali alle manifestazioni, come quella svoltasi il 7 ottobre scorso a Treviso.
Due sono le “bugie” su questo tema che disturbano Tiziana D’Andrea: l’affermazione che le domeniche aperte aiutino l’economia a risollevarsi, contribuendo a creare posti di lavoro, e che il non stop dei negozi sia una realtà ormai accettata e praticata in tutt’Europa. «Non lo dico io, ma i dati presentati da Confesercenti e Regione Veneto: le vendite della domenica non alzano i fatturati perché non si compera di più. La crisi ha decretato la fine dei cosiddetti acquisti emozionali: non ce li possiamo più permettere. Nuovi occupati? Pare proprio di no. Quello che aumenta è la precarizzazione del lavoro e il “nero”. Rispetto all’Europa, poi, sono molti i Paesi che rispettano la chiusura domenicale. Nella stessa Germania, ad esempio, le domeniche aperte sono solo una manciata, dieci, in tutto l’anno. E mentre sul tema c’è chi sta facendo marcia indietro, l’Italia si scopre liberalizzatrice a oltranza».
Da quando non lavora più, mamma Tiziana ha dovuto tagliare su ristoranti e abiti, ma ha ripreso a fare volontariato e riesce ad andare ai colloqui con gli insegnanti del figlio. Potrà perfino dedicarsi nuovamente a una sua vecchia, trascurata passione: la corsa. «Mi piace troppo la maratona», afferma sorridendo. E, come si sa, le maratone si disputano di domenica.
Alberto Laggia
A cura di Alberto Chiara