22/04/2013
(le foto del dossier sono di Greenpeace)
Nel 1972 uscì il rapporto del Club di Roma dal titolo “I Limiti dello Sviluppo” che costituisce il primo documento, redatto da economisti ed ecologi, che critica lo sviluppo sfrenato, prevedendo un declino economico che sarebbe potuto cominciare entro i primi decenni del ventunesimo secolo.
La grave crisi economico finanziaria che ci sta attanagliando dal 2008 è sotto gli occhi di tutti, vuoi vedere che avevano ragione?
Jørgen Randers, che di quel saggio fu uno degli autori, ha appena dato alle stampe, poco più di 40 anni dopo, “2052: Scenari globali per i prossimi quarant'anni”, che tenta in qualche modo la stessa operazione, cercando di immaginare in che mondo vivremo tra 40 anni.
Nel libro, pubblicato in Italia per Edizioni Ambiente e curato dal direttore scientifico del Wwf Gianfranco Bologna, oltre 30 studiosi internazionali, scienziati, economisti sollevano domande scomode: Il cambiamento climatico galoppante prenderà sempre più piede? Dove migliorerà la qualità della vita e dove, invece, aumenterà il declino?
Mentre il processo di adattamento dell'umanità ai limiti del pianeta è già iniziato, la risposta umana potrebbe essere troppo lenta per fermare il declino.
Alcuni dati contenuti nel libro parlano chiaro. Il numero dei poveri potrebbe toccare nel 2052 i 3 miliardi. La popolazione mondiale raggiungerà il picco nel 2042 toccando gli 8,1 miliardi a causa del calo della fertilità nelle aree urbane. La concentrazione di CO2 nell'atmosfera continuerà ad aumentare determinando un incremento di 2°C nel 2052, rispetto alla temperatura media pre-industriale; le temperature raggiungeranno +2,8°C nel 2080, un livello che potrebbe innescare un cambiamento climatico auto-rinforzante.
Per Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf, è impossibile cambiare rotta se non viene impostata una nuova economia che metta al centro il capitale naturale.
“Le previsioni di Randers e gli scenari tratteggiati sono, purtroppo, molto credibili e sensati. È drammaticamente vero e lo constatiamo tutti, che i processi negoziali internazionali che dovrebbero regolamentare il nostro impatto sui beni comuni sono lentissimi e complessi”.
Il Protocollo di Kyoto è un buon esempio: si è chiuso nel 2012 e non abbiamo ancora un altro accordo globale che lo sostituisca. Stiamo perdendo troppo tempo?
“Sì e la comunità scientifica internazionale ci sta avvertendo che alcune situazioni stanno diventando sempre più critiche con la possibilità di sorpassare i fatidici punti critici che provocano effetti a cascata sui quali le possibilità di gestione da parte umana sono praticamente nulle” spiega Bologna.
“Penso, per fare solo due esempi, all'accelerazione della riduzione della banchisa artica estiva e all'inaridimento di ampie porzioni della foresta amazzonica, fenomeni entrambi che provocano ripercussioni planetarie. Più tempo facciamo passare nell'inazione più è difficile intervenire in maniera efficace”.
Felice D'Agostini
a cura di Felice D'Agostini