30/07/2012
La vera luce nelle nostre comunità
ecclesiali può quindi venire dal riportare
quell’archetipo, cioè modello originario,
di cui ultimamente, e in più
occasioni, ha parlato il Santo Padre Benedetto
XVI, nel vissuto quotidiano di
tante coppie di sposi che stanno attendendo
di rivivere il miracolo di Cana
di Galilea. Molto spesso, nei primi anni
di matrimonio, si corre il rischio di
divenire genitori molto efficienti, cessando
però di essere coppia sponsale.
È possibile invece far esplodere la Grazia
del sacramento delle nozze in chi
si sta avvicinando all’idea del matrimonio,
ma anche in chi da tempo, pur restando
nella stessa casa, non vive più il
profumo del vino di Cana.
Vi sono coppie di sposi dove tante
cose non dette, un perdono mancato,
alcune sofferenze, hanno finito per indurire
il cuore, e in quella casa non si
vive più il fuoco della piccola “chiesa
domestica” che illumina i palazzi, i
quartieri, le città. Da questo ri-accendersi
del profumo nuziale dipende
l’incisività della presenza degli sposi
nelle nostre comunità ecclesiali e civili
e anche il loro compito di genitori.
Occorre allora tornare a far ri-appassionare
alla Chiesa tanti sposi che, pur
avendo celebrato il Matrimonio religioso,
hanno perso il legame fecondo
con la comunità cristiana. In tal modo
si esprimeva un illuminato documento
della Cei del 1975, Evangelizzazione e
sacramento del Matrimonio (n. 43): «Per
i battezzati il patto coniugale è assunto
nel disegno salvifico di Dio e diventa
segno sacramentale dell’azione di
grazia di Gesù Cristo per l’edificazione
della sua Chiesa. Per questo è stata
sempre sentita l’esigenza che la decisione
e la scelta degli sposi cristiani fossero
espresse dinanzi alla Chiesa secondo
le modalità da essa stabilite. In
tal modo il patto coniugale, segno e
strumento dell’azione del Salvatore, è
costitutivo della coppia cristiana, facendola
partecipe del vincolo sponsale
di Cristo con l’umanità redenta».
don Paolo Gentili