Gli involontari alleati del Cavaliere

Prima Benigni, poi Santoro e Crozza hanno rimesso Berlusconi al centro della scena con l'intenzione di sferrare il colpo del definitivo ko. E se invece l'avessero aiutato a "risorgere"?

Travaglio: l'ha aiutato l'Imu, non noi

01/03/2013
Marco Travaglio negli studi di "Servizio pubblico" (Ansa).
Marco Travaglio negli studi di "Servizio pubblico" (Ansa).

«Una colossale sciocchezza». Così Marco Travaglio liquida la tesi secondo cui proprio l'arcinemico Michele Santoro, ospitandolo nella sua arena di Servizio pubblico il 10 gennaio scorso, avrebbe favorito la clamorosa rimonta di Silvio Berlusconi che l'ha portato a un soffio dalla vittoria alle ultime elezioni.

L'editorialista del programma di La7 precisa la sua affermazione partendo dai dati: «Tutti i sondaggi concordano sul fatto che il Centrodestra ha cominciato ad aumentare i suoi consensi, anche se non di molto, quando Berlusconi ha annunciato che sarebbe stato di nuovo lui il leader della coalizione, quindi ben prima della messa in onda di Servizio pubblico. Ma la vera crescita è avvenuta con l'annuncio della restituzione dell'Imu sulla prima casa. Detto questo, il Centrosinistra avrebbe comunque vinto se solo avesse avanzato almeno una proposta in grado di far breccia nella gente. Una cosa è certa: è stato il Pd a non vincere le elezioni, noi abbiamo fatto solo il nostro mestiere».

Quindi, con il senno di poi, non cambierebbe nulla di quella puntata di Servizio pubblico?
«Assolutamente no. Noi siamo stati gli unici a smontare, e non a parole ma con documenti alla mano e in diretta, i due capisaldi su cui si era basata fino a quel momento la campagna elettorale del Cavaliere: la battaglia sull'Imu, in cui abbiamo ricordato a tutti che fu il Pdl a volerla e che, una volta approvata, proprio Berlusconi elogiò il Governo Monti; e il presunto complotto delle banche tedesche contro di lui. Qui, mostrandogli documenti ufficiali, la nostra Giulia Innocenzi lo ha costretto ad ammettere di aver fatto confusione fra Bundesbank e Deutschebank».

Eppure Luisella Costamagna dalla settimana successiva ha deciso di lasciare Servizio pubblico.  Lei finora non ha voluto spiegarne le ragioni, ma molti sostengono che lo abbia fatto perché non le è piaciuto il modo in cui è stata condotta la trasmissione.
«No. Luisella, che quella sera è stata bravissima, ci ha lasciato per altri motivi. Ma, ripeto, noi ci siamo solo limitati a fotografare la realtà, chiamando in trasmissione uno dei tre leader più importanti della campagna elettorale. Avremmo voluto fare lo stesso con Monti e Bersani, ma solo Berlusconi ha avuto il coraggio di accettare, perché ha capito che venire da noi avrebbe avuto un impatto mediatico molto maggiore delle sue solite partecipazioni a Porta a Porta. E da noi si è rivelato quello che è sempre stato, una "simpatica canaglia": mentre gli altri politici risultano sempre spocchiosi e incomprensibili, lui è chiaro e non riesce a risultare antipatico, ma queste sue doti non le abbiamo certo scoperte noi».

Molti commentatori hanno scritto che quella puntata è stata più simile a uno show teatrale che un programma di approfondimento politico. Insomma, che tutto o quasi fosse stato studiato a tavolino prima.
«L'unica cosa che abbiamo chiesto a Berlusconi è di non entrare nel merito dei suoi processi, altrimenti non ne saremmo usciti più. Per il resto, non abbiamo concordato nulla».

Marco Travaglio nel suo nuovo spettacolo "È Stato la mafia" (Ansa).
Marco Travaglio nel suo nuovo spettacolo "È Stato la mafia" (Ansa).

Nel suo nuovo spettacolo, E' Stato la mafia, in scena a Milano al Teatro dal Verme il 15 e il 16 marzo, in cui, con la collaborazioene dell'attrice Isabella Ferrari, racconta la storia della presunta trattativa fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra dopo le stragi del 1992, cita brani di politici, intellettuali e artisti come Calamandrei, Flaiano, Pasolini, Gaber. Quali sono i più profetici sulla situazione che stiamo vivendo?
«Quelli di un'intervista rilasciata da Sandro Pertini a Nantas Salvalaggio nel 1974 subito dopo il suo insediamento alla presidenza della Camera. Era il periodo dello "scandalo petroli", la prima Tangentopoli italiana. Cito alcuni stralci: "La crisi dei partiti, sovrapponendosi alla crisi dell'economia, ha gettato il paese in uno stato di malessere profondo. Perché il problema a mio parere è semplice; non c'è ragione al mondo che giustifichi la copertura dì un disonesto, anche se deputato". E ancora: "Poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall'inflazione... voi date quest'esempio d'insensibilità?" E infine: "Mia moglie si vergognerebbe di andare a Campo de' Fiori a comprare l'insalata o le pere sul macchinone ministeriale. Sarebbe uno schiaffo alla povera gente, un abuso di potere, un furto"».


E' fiducioso sul contributo che nuovo Parlamento potrà dare a far luce su quanto resta di oscuro nella nostra storia recente di cui parla nel suo nuovo spettacolo?
«Prima di tutto è giusto che ci siano i processi. Ma a me personalmente non importa tanto che si arrivi alla condanna di qualche vecchio generale. Mi interessa che i tanti che custodiscono segreti e siederanno ancora in Parlamento si decidano a vuotare il sacco. E da questo punto di vista la massiccia iniezione di giovani, provenienti dal Movimento 5 Stelle ma non solo, mi fa ben sperare perché sono molto sensibili a questi temi».

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Eugenio Arcidiacono

a cura di Paolo Perazzolo
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