06/05/2013
Toni Servillo nella parte di Giulio Andreotti nel film "Il Divo", scritto e diretto da Paolo Sorrentino.
In quasi settant'anni di carriera politica, sempre ai massimi livelli, Giulio Andreotti è stato costantemente sotto i riflettori. Mai però aveva immaginato che sarebbe finito nel cono di luce di uno spot cinematografico. E' successo invece nel 2008 quando Paolo Sorrentino, regista partenopeo trapiantato a Roma, girò un'intera pellicola su di lui, Il Divo, portandola in concorso al Festival di Cannes, dove vinse il Prix du Jury (grazie anche alla camaleontica interpretazione di Toni Servillo).
Non una biografia in senso stretto, che peraltro non sarebbe stata autorizzata, quanto piuttosto un intenso bozzetto umano tratteggiato attraverso le vicende, pubbliche e private, che hanno scandito la parola discendente del politico Andreotti: dall'aprile 1991, nascita del suo settimo e ultimo governo, al 1996, quando fu coinvolto dalle dichiarazioni di mafiosi pentiti nel maxi processo di Palermo (salvo poi uscirne assolto). In mezzo c'era tutta la più rovente storia italiana, da Tangentopoli alla mancata elezione di Andreotti al Quirinale (bruciato dall'amico Scalfaro). Con qualche struggente flashback sugli anni di piombo e l'assassinio di Aldo Moro.
Un racconto potente e grottesco, mai noioso.
“Temevo che un film così non fosse capace di uscire dai confini nazionali”, ricorda Sorrentino, 43 anni, commentando la notizia della morte del senatore a vita che lo coglie alla vigilia della nuova avventura al Festival di Cannes con il film La grande bellezza. “Gli applausi scroscianti della Croisette mi fecero invece capire che il racconto che avevo portato sullo schermo andava oltre il singolo personaggio: era una parabola sul potere”.
La locandina de "Il Divo", film ispirato alla vita di Giulio Andreotti (Reuters).
- Prima ancora di vedere il film, Andreotti lo aveva definito una mascalzonata ma non per i contenuti polemici quanto per il fatto che si sarebbe aspettato un film su di sé soltanto dopo morto...
“Un'altra delle sue celebri battute. Esiste un'aneddotica infinita, che era da lui stesso alimentata. Sempre compiaciuto di eludere con la sua abile dialettica risposte autentiche, ragionamenti scomodi. Insomma, la verità. Io posso garantire di essermi accostato al personaggio senza preconcetti, anzi mettendone in luce tratti umani spesso rimasti nascosti”.
- Ci volle comunque un bel coraggio per fare un film su una delle figure più potenti della prima Repubblica, dal 1991 in poi senatore a vita.
“All'epoca, fui attentissimo. Mi ero documentato al punto da essere diventato un enciclopedico su Andreotti. Sul set, non ebbi né timori né imbarazzi. Altrimenti, non avrei neppure pensato di fare il film. Noi registi abbiamo una sana incoscienza”.
- Ma perché scelse proprio Andreotti?
“Ero indeciso tra lui e il banchiere Enrico Cuccia. Alla fine optai per Andreotti, memore del fascino che esercitava su di me da bambino. In famiglia si seguivano Tg e tribune politiche e sentivo l'impatto di quella sua fisicità disturbante, del suo alone di mistero indecifrabile”.
- Sorrentino, secondo lei Andreotti è stato davvero un Balzebù?
“So che è stato al potere una vita, inamovibile, sfuggente. In un'Italia fatta di sangue e caos, martoriata da delitti di mafia e di terrorismo, ma anche legati alla politica. Una sequela di morti ammazzati anche a lui vicini: Pecorelli, Ambrosoli, Calvi, Dalla Chiesa, Sindona, Salvo Lima, Falcone, Borsellino e soprattutto Aldo Moro (e in questo caso ho sempre creduto al suo dolore autentico). Per Andreotti furono ben 26 le richieste al Parlamento di autorizzazione a procedere: sempre respinte, talvolta perfino col voto del Pci. Tranne l'ultima per concorso esterno in associazione mafiosa, finita comunque con l'assoluzione e un non luogo a procedere. Difficile esprimere un giudizio. Ma andatevi a a rileggere che cosa dissero di lui due grandi donne come Margaret Thatcher e Oriana Fallaci”.
- Se Giulio Andreotti è stato il deus-ex-machina della prima Repubblica, chi incarna oggi il potere in Italia?
“E' cambiato tutto. Il potere riguarda sempre meno la politica e perfino, forse, la finanza. Penso che oggi il vero potere sia nelle mani di chi controlla la comunicazione, la telefonia, Internet, la televisione”.
Maurizio Turrioni