06/05/2013
Il Divo Giulio: I sette governi presieduti, le altre innumerevoli cariche ma anche i processi (Reuters).
Durante la sua lunghissima vita l’hanno definito in mille modi, da Belzebù a genio della politica: dove tuttavia, per politica, più che la gestione della cosa pubblica si intendeva il gusto dell’intrigo, l’uso dei segreti, qualcosa insomma di inquietante e negativo. Per questo, dopo la sua quieta scomparsa, lontano da ogni riflettore, su Giulio Andreotti vivo si è letto di tutto. I sette governi presieduti, le altre innumerevoli cariche ma anche i processi, i dubbi di contiguità con il sistema mafioso, i dossier più o meno ricattatori che adesso spunteranno fuori, a meno che il sulfureo personaggio non li abbia già bruciati…
Mai come per il Divo Giulio le biografie, più che dagli eventi reali, dipendono dall’opinione personale di chi le redige. In genere prevale quel misto di sconcertata ammirazione e “pollice verso” che ha sempre accompagnato la carriera di questo romano scettico e spiritoso, capace di perdere un congresso per il gusto della battuta. Lo stesso avviene fra i non addetti ai lavori, il cosiddetto uomo della strada che nel dubbio tende a scegliere il peggio. Specie fra le ultime generazioni, si provi oggi a difendere la Prima Repubblica. Si verrà respinti con perdite. Malaffare, corruzione, partiti inefficienti e divisi: in sintesi, politica sporca, tutt’altro che da rimpiangere. Addirittura e malgrado tutto, par di capire, meglio adesso.
Anche su questo nostro giornale, chi si è avventurato nella difesa di Andreotti è stato spesso subissato da pareri fieramente contrari, quando non da male parole. E’ capitato anche al sottoscritto, il quale peraltro può dire come in quel film: “Io lo conoscevo bene”. E poiché le vertenze più accese riguardano i processi per mafia – e addirittura per assassinio politico – potrà valere appunto l’esperienza diretta di un quasi coetaneo.
Tutti i processi per mafia si basavano sui voti siciliani che servivano alla carriera politica del Divo, per contrastare rivali come Fanfani, Moro e troupes al seguito. Insigne sciocchezza. Andreotti era essenzialmente un uomo di governo, e solo marginalmente un uomo di partito. Si era procurato una sua corrente, chiamata Primavera, al precipuo scopo di avere, come tutti, un qualche peso nei congressi. Ma non per questi numeri congressuali lo chiamavano a dirigere governi. A parte che in fatto di numeri gli bastavano le valanghe di preferenze ottenute nelle elezioni nazionali, Andreotti era affidabile per competenza, equilibrio, conoscenza degli uomini e delle situazioni, anche abilità manovriera, indispensabile questa via via che si degradavano i rapporti fra i partiti. Se De Gasperi sosteneva che la Dc era un partito di centro che guardava a sinistra, Andreotti postillava: e pure a destra… Così, se per esempio bisognava spostare a sinistra l’asse governativa, Andreotti serviva da garanzia per la controparte. Non a caso fu lui, nelle circostanze eccezionali del delitto Moro, a mettere insieme democristiani e comunisti, con una formula che anticipava l’attuale governo Letta.
Se poi si continua a citare la sentenza secondo cui Andreotti fu mafioso fino a una certa annata, depurandosi in toto dall’anno successivo, basta il commento di Paolo Mieli in tv: “Ma non scherziamo…”.
Certo a Giulio Andreotti piaceva scherzare, ma non su questi temi. Gradiva le parodie, perfino le vignette sovrastate dalla celebre gobba. Comparve perfino al “Bagaglino”, dove Oreste Lionello furoreggiava per la sua perfetta imitazione. Nei congressi dc, quando lui interveniva, i delegati si mettevano comodi come a teatro, aspettando le sue battute. Le quali, stranamente, erano solo verbali. Difficile ritrovarle nei numerosi libri pubblicati da Andreotti, che aveva una scrittura un po’ faticosa e perfino burocratica. La vera struttura dell’uomo emerse comunque, e questo gli fu riconosciuto perfino dai più ferrati avversari, nei logoranti processi cui fu sottoposto. Sempre presente, sempre corretto, mai un accenno a complotti esterni, mai una parola di troppo. Non rassegnazione ma forza interiore: “Sennò – disse a un amico – che cosa significa essere cristiani?”. Così, per quel che vale, lo ricorda il sottoscritto: e se arriveranno altre male parole, pazienza. Il sipario è calato.
Giorgio Vecchiato