23/06/2012
Dilma Rouseff, presidente del Brasile, al summit Rio +20. Questa fotografia e quella di copertina sono dell'agenzia Reuters.
Rio de Janeiro
Calato il sipario
sulla Conferenza di Rio+20, i 50.000 partecipanti accreditati tornano
a casa con in tasca una comune certezza: si doveva fare di più. Al
di la di ciò, restano molte e profonde le differenze di valutazione
tra chi, come il nostro ministro per l’Ambiente e capo della
delegazione italiana, Corrado Clini, sventola giudizi ottimistici e
prospettive rosee per il lavoro futuro della comunità internazionale
e chi, come la quasi totalità della società civile che ha seguito
le infinite sessioni negoziali preparatorie e i due giorni
partecipati dai 130 Capi di Stato e di Governo giunti a Rio per la
sessione interministeriale finale, critica duramente l’assenza di
risultati concreti e impegni vincolanti. Posizioni e commenti che in
queste ore riempiono i media del mondo intero che, salvo lodevoli
eccezioni, hanno brillato per latitanza e disattenzione verso un tema
vieppiù fondamentale per il nostro futuro: la sostenibilità
dell’azione umana nei confronti del pianeta.
Le Nazioni Unite, e con
esse il loro Segretario Generale Ban Ki Moon, hanno voluto questo
appuntamento internazionale a vent’anni di distanza dalla prima
conferenza sulla sostenibilità dello sviluppo tenutasi sempre a Rio
de Janeiro nel 1992 con la quale la comunità internazionale decretò
l’urgenza di commisurare la crescita e lo sviluppo con i già
allora evidenti limiti posti da un pianeta stressato dallo
sfruttamento irresponsabile delle sue risorse. Al contrario della
conferenza chiusasi il 22 giugno con una Dichiarazione finale annacquata al
punto giusto per compiacere tutti i Governi rimasti sulle opposte
posizioni di partenza, l’assise di vent’anni fa adottò trattati
e convenzioni internazionali di grandissima rilevanza come la
“Convenzione sulla biodiversità” o la “Agenda 21”: un vero e
proprio piano di azione vincolante per tutti i Paesi.
Eppure, in questi
vent’anni, le condizioni del pianeta terra sono drasticamente
peggiorate, i cambiamenti climatici hanno incrementato la loro
invadenza, le risorse energetiche sono state ormai esaurite e
l’impatto delle attività umane spinte dai mantra della crescita e
del profitto hanno chiaramente manifestato la loro insostenibilità.
La ricetta della cosiddetta “green economy”, proposta a Rio come
panacea di tutti i problemi, vista l’intangibilità del paradigma
dello sviluppo ancora confermato e l’inattaccabilità delle
alleanze tra poteri forti protesi a conservare i privilegi e
giustificare le peggiori nefandezze perpetrate contro i diritti umani
e naturali, rischia di essere solo una copertura dal volto
ambientalista di politiche, strategie ed azioni che muovono in
direzione opposta rispetto alla salvaguardia e alla promozione di
beni comuni.
Solo un modello di sviluppo fondato sui diritti
fondamentali della persona, delle comunità e della natura, come
invocato dalle tantissime rappresentanze di popoli indigeni presenti
a Rio, potrà garantire alle generazioni future una vita dignitosa
sostentata dalle ricchezze e dalle incommensurabili bellezze che
ancora ci riserva, nonostante la scelleratezza umana, il nostro
pianeta. Una prospettiva questa che avrebbe dovuto guidare le scelte
delle 190 delegazioni governative riunite alla Conferenza di Rio+20 e
che invece si sono ancora una volta adagiate su un accordo
sicuramente non all’altezza dell’urgenza di agire per modificare
radicalmente la via sin qui seguita.
Così, invece, non hanno
fatto i rappresentanti delle organizzazioni e dei movimenti di
società civile riunite a Rio nel vertice parallelo “Cupula dos
Povos” (Vertice dei Poveri).
Con un’inedita convergenza tra le
multiformi realtà non governative presenti, come anche riconosciuto
dallo stesso Segretario generale Onu all’incontro avuto con loro il
penultimo giorno di Conferenza, essi hanno saputo sottoporre ai
Governi mondiali proposte realistiche, contributi innovativi e,
soprattutto, esempi concreti di pratiche sostenibili e al tempo
stesso efficaci.
Ora la parola passa agli
ambiti e ai meccanismi individuati a Rio per dare seguito e
continuità alle discussioni ivi avviate. Si vedrà se la richiesta
della società civile organizzata di parteciparvi a pari condizioni e
pari livello con i rappresentanti istituzionali sarà accolta.
Si
vedrà se, come affermato da molte delegazioni governative, la
Conferenza di Rio+20 è stata realmente una tappa fondamentale per
avviare azioni future che possano dare un domani sostenibile alla
Madre Terra e ai suoi abitanti: quelli di oggi e quelli di domani dai
quali abbiamo preso in prestito il pianeta con il dovere di
restituirlo in condizioni se non migliori almeno decenti.
Sergio Marelli, delegazione Focsiv-Cidse