Rio, si decide il futuro dell'ambiente

ll 20 giugno inizia in Brasile un vertice nel quale i "Grandi" discuteranno di inquinamento e di sfruttamento del pianeta. Tra le sfide, “acqua, cibo e energia a tutti, per sempre".

La terra in gioco

18/06/2012
Rio de Janeiro (foto Corbis).
Rio de Janeiro (foto Corbis).

Manca poco al 20 giugno quando inizia a Rio de Janeiro un vertice nel quale i Grandi della Terra dovranno rinnovare il loro impegno politico per l'ambiente.

Si chiama “Rio+20” perché si svolge a 20 anni dalla Conferenza che si tenne nella stessa città del Brasile e sancì l'adozione di tre importanti convenzioni internazionali (clima, biodiversità e desertificazione).

 

Quest'anno si tratta di sottoscrivere 10 nuovi obiettivi di sostenibilità da raggiungere entro il 2020. Da Rio+20 dovrebbe uscire anche un accordo per la trasformazione dell'Unep (Programma ambientale delle Nazioni Unite), in una super agenzia mondiale per l'ambiente, un passaggio importante. Qualcuno suggerisce l'istituzione di un “difensore civico” globale, mentre ancora tarda purtroppo l'istituzione di una Corte internazionale di giustizia per l'ambiente.

Green economy, tema centrale dell'incontro di Rio (foto Corbis).
Green economy, tema centrale dell'incontro di Rio (foto Corbis).

Si parlerà molto di “green economy”, un po' perché va di moda, un po' perché la crisi economica globale ci obbliga a scegliere (questo il significato originario del termine “crisi”) una strada diversa e ripensare il nostro modello di sviluppo senza limiti.

Un’economia verde da un parte tiene conto della carenza di risorse naturali e dall’altra dovrebbe contribuire alla riduzione della povertà attraverso lo sviluppo economico.

 

Ci troviamo in un nuovo periodo geologico, in un Antropocene, come dicono gli scienziati?

Di certo ancora non abbiamo imparato la lezione che ci è arrivata 40 anni fa dal rapporto “I limiti dello sviluppo”, che per primo indicava la necessità di tenere in considerazione che le risorse del pianeta non sono illimitate.

Negli ultimi 50 anni, le classi medie e alte del mondo hanno più che raddoppiato i loro livelli di consumo, un ulteriore miliardo (forse due) di persone nel mondo aspira a unirsi alla classe dei consumatori, e se le cose non cambieranno, nel 2050 l’umanità si troverà ad utilizzare annualmente 140 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili e biomasse, rispetto ai 60 miliardi di tonnellate consumati attualmente. Solo fra il 1970 e il 2008 abbiamo perso il 30% di biodiversità a livello globale con punte del 60% nei Tropici. Riuscirà il Vertice di Rio a segnare un'inversione di rotta?

 

Le aspirazioni della Conferenza di Rio del 1992 si sono scontrate con una serie di evoluzioni controproducenti, che includono politiche ostili, approcci economici tradizionali e una dominante cultura del consumismo. I vent’anni che sono trascorsi hanno chiaramente dimostrato che il cambiamento necessario non è solo tecnico, ma passa attraverso la trasformazione degli stili di vita, delle culture e della politica.

Anche la Santa Sede è intervenuta, partecipando alla terza sessione del Comitato preparatorio della Conferenza Onu “Rio+20”, dedicata allo sviluppo sostenibile. Secondo il documento del Vaticano, il diritto allo sviluppo, a un ambiente sano e al benessere sociale sono “intimamente collegati” alla dignità dell’uomo. Viceversa il mondo sarebbe preda di un tecnicismo senza etica.


                                                                                                Gabriele Salari

Della stessa idea Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf, che da 25 anni cura l'edizione italiana del rapporto per Edizioni Ambiente.

“Non ci sarà bisogno di rivedere la conferenza di Rio+20 tra altri vent’anni per cercare di capire cos’è andato storto – ha detto – Sappiamo abbastanza sullo stato del pianeta per vedere chiaramente che dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere e di produrre. Anche se una conferenza di governi senz’altro può aiutare, per definire nuove strade verso la vera sostenibilità serve di più. La sfida inizia riconoscendo che una crescita “infinita” non è possibile su un pianeta “finito”. Possiamo lavorare con la speranza che la stabilità economica è possibile, così come una vita giusta, basata sulla salute, su comunità forti e sulla possibilità che tutti accedano al ‘necessario’ piuttosto che a un superfluo sempre crescente”. 

 

Oggi la sfida è rendere più equo e più sostenibile un mondo in cui 828 milioni di persone vivono nelle baraccopoli, in cui 800 milioni di auto sono responsabili di oltre la metà del consumo globale di combustibili fossili liquidi e di unquarto delle emissioni di anidride carbonica (80% di inquinanti nocivi nei paesi in via di sviluppo), in cui la costruzione e la gestione degli edifici impiega il 25-40% di tutta l'energia prodotta, e rappresenta una quota analoga nelle emissioni globali di anidride carbonica, in cui quasi due miliardi di persone vengono nutrite dai prodotti di 500 milioni di piccole fattorie nei paesi in via di sviluppo, ma dove l’80% di chi soffre la fame vive proprio nelle aree rurali, in cui le specie si estinguono a un tasso di 1000 volte più alto rispetto al periodo pre-industriale, portando con sé qualità ambientale, materie prime e servizi ecosistemici che sono indispensabili alla nostra vita e alla nostra economia.

In alcune parti del mondo governi e società si stanno già muovendo. I governi di Danimarca, Belgio, Singapore e Tailandia hanno sostenuto programmi di formazione per sviluppare la bioedilizia, per evitare che la mancanza di qualificazione professionale impedisca lo sviluppo della green economy. L'economia giapponese è una delle più efficienti al mondo anche grazie all'applicazione, dal 1998, del programma "Top runner" che stabilisce standard di efficienza ambientale per una serie di prodotti che complessivamente rappresenta oltre il 70% del consumo di elettricità nel settore residenziale.

Il movimento delle Transitions towns fondato in Inghilterra nel 2005, ha già coinvolto 400 comunità in 34 Paesi, per ridurre i propri consumi energetici e rilocalizzare le economie e i sistemi di produzione alimentare, al fine di rendere le comunità più sostenibili.

I 200 abitanti del villaggio colombiano di Gaviotas, sorto 30 anni fa su una savana degradata, da allora ha messo a dimora, in oltre 8.000 ettari di terreno, tanti alberi da formare una foresta che garantisce al villaggio cibo e prodotti commerciabili, assorbendo 144.000 tonnellate di CO2 l'anno. In Francia sono state create 1200 “fattorie sociali”, e più di 700 nei Paesi Bassi. E gli esempi raccontati nel volume sono decine.

Gabriele Salari

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