Dottrina sociale, l'economia francescana

13/04/2013
Papa Francesco paga il conto alla reception del residence dove ha soggiornato prima del Conclave. Foto Ansa/Osservatore Romano
Papa Francesco paga il conto alla reception del residence dove ha soggiornato prima del Conclave. Foto Ansa/Osservatore Romano

“Quando il cardinale Bergoglio era a Buenos Aires”, ricorda l’economista Stefano Zamagni, che in Argentina si reca più volte nel corso dell’anno per studi e congressi, “si è spesso occupato della dimensione sociale e morale del Paese, ma mai direttamente di quella economica. Ma da Pontefice è probabile che se ne occupi, continuando facilmente sulla stessa linea di Benedetto XVI per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa”. Secondo l’economista bolognese, padre degli studi sul terzo Settore, “va sottolineato il modello di economia di mercato per il quale si ritiene che la dottrina sociale della Chiesa sia più affine: economia neoliberista; modello sociale di mercato di marca tedesca e il modello di economia civile di mercato”. Ed è naturalmente molto probabile che Francesco, nel solco del suo predecessore, opti per la via dell’economia “civile”, già illustrata nella Caritas in veritate. Ma il nome scelto dal nuovo Papa, così espressamente comnesso alla biografia del poverello di Assisi, fa pensare anche che egli accentui e approfondisca la visione di quella che è definita “l’economia francescana”.

I francescani, continua Zamagni,  “sono quelli che hanno prodotto il pensiero da cui è nata l’economia di mercato, fin da Bonaventura da Bagnoregio. Anche i primi strumenti finanziari sono in gran parte frutto del pensiero filosofico francescano: i monti di pietà, progenitori delle fondazioni bancarie e delle banche, nati per combattere l'usura e diffondere "la giusta mercede", il sistema della contabilitò d’azienda. La partita doppia l’ha perfezionata un francescano, il matematico Luca Pacioli, collaboratore a Milano di Leonardo". Un francescano che insegnava ai contemporanei come si tiene la contabilità. "E sa perchè? Perché bisogna tenere i conti in ordine per produrre, altrimenti non c’è la sostenibilità. Altro che pauperismo! I francescani sono sempre stati contrari alla miseria, in favore della povertà, intesa però come valore. Non bisogna confondere la povertà come virtù ariostotelica e poi evangelica, con la miseria. La miseria è una condizione da cancellare, indegna e umiliante. Significa vivere in ristrettezze, incapaci di sostentarsi e di provvedere a sé stessi o alla propria famiglia. la povertà in senso teologico e filosofico è un'altra cosa. Aristotele definisce la povertà come capacità di distaccarsi dalle cose. La povertà come virtù è un ingrediente della libertà. Perché altrimenti sono le cose che possiedono te. Francesco d’Assisi, quando si spoglia davanti al vescovo e a i fedeli attoniti, dice: questo è finalmente il tipo di vita che avevo sempre sognato di realizzare! Francesco, figlio di un mercante, si spoglia dei suoi beni per essere libero, non per essere misero. E quando fonda il suo ordine afferma: voi, cari fratelli, dovete sempre avere la madia piena di pane, carne, formaggio e altri prodotti. Perché quando busseranno alla vostra porta i miseri e i bisognosi, voi dovete ristorarli e vestirli”.

I francescani dunque, distinguendo tra miseria e povertà hanno favorito quel processo di accumulazione del capitale necessaria e produrre risorse per ristabilire l’eguaglianza sociale e combattere la miseria. “Nella logica finanziaria di Francesco, che è la moltiplicazione delle risorse,  tutti devono avere diritto a un lavoro”. Oggi, conclude l’economista, il pensiero economico francescano sta conoscendo una nuova giovinezza. "Chissà che il nuovo papa Francesco non lo porti alla sua maturazione globale".
Francesco Anfossi

Dossier a cura di Alberto Chiara
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