Tenerezza, misericordia e perdono: le parole che raccontano uno stile

13/04/2013
La sera di mercoledì 13 marzo, subito dopo l'elezione e la fumata bianca. Foto Ansa.
La sera di mercoledì 13 marzo, subito dopo l'elezione e la fumata bianca. Foto Ansa.

Un mese vissuto meravigliosamente. Si potrebbero sintetizzare così i primi 30 giorni di papa Francesco sul soglio di Pietro. Un ministero che ha interpretato da subito in modo radicalmente nuovo. Tornando però alle radici, a quell’essere «vescovo in mezzo al popolo sull’esempio di Gesù» che è stata già la cifra del suo episcopato, anzi, prima ancora, del suo sacerdozio. D’altro canto già il nome scelto, così impegnativo, non poteva che indicare il sentire di Jorge Mario Bergoglio e il suo sogno: «Una Chiesa povera per i poveri», una Chiesa che apre le braccia, che accoglie, che custodisce, perdona e prega.

In questo mese papa Francesco, il «vescovo di Roma» che «sembra che i fratelli cardinali siano andati a prendere alla fine del mondo», ci ha abituati alle parole dolci della Chiesa. Ci ha parlato di misericordia e speranza. Ha esortato i ragazzi e le ragazze ad aiutare tutta la Chiesa ad avere un cuore giovane, le donne a continuare a testimoniare la risurrezione, i deboli e gli emarginati a non sentirsi esclusi, i lontani a non aver paura di tornare. Ci ha parlato della pazienza di Dio. Ci ha parlato del perdono. «Dio non si stanca di perdonare, noi ci stanchiamo di chiedere perdono»,  ha detto nella sua prima uscita dalla finestra del Palazzo apostolico. Palazzo dove ha deciso – almeno per il momento – di non andare ad abitare, preferendo restare alla Domus Sanctae Marthae che lo ha ospitato, insieme con gli altri cardinali, nei giorni del conclave. Qui continua a fare il pastore, a dire Messa, nella piccola cappellina della Domus, per gli impiegati, i religiosi, gli operai che lavorano in Vaticano.

Lo storico incontro tra papa Francesco e il Papa emerito, Joseph Ratzinger, avvenuto a Castel Gandolfo sabato 23 marzo 2013.  Foto Ansa/Osservatore Romano.
Lo storico incontro tra papa Francesco e il Papa emerito, Joseph Ratzinger, avvenuto a Castel Gandolfo sabato 23 marzo 2013. Foto Ansa/Osservatore Romano.

Ci ha abituato a gesti di tale normalità da sembrarci speciali: la benedizione che non esclude nessuno (impartita in silenzio durante l’incontro con la stampa ), la preghiera del popolo per il suo vescovo (che ha chiesto in tante occasioni, ma soprattutto affacciandosi, la sera stessa dell’elezione, il 13 marzo dalla Loggia di San Pietro, sia da quella di San Giovanni in Laterano, il 7 aprile dopo la messa di insediamento sulla “cathedra romana”), lo spostarsi a piedi per andare a pregare sulle tombe dei Papi o nella basilica di San Pietro (come ha fatto il giorno del lunedì dell’Angelo), il chinarsi a lavare i piedi degli ultimi della storia (Messa in coena domini del Giovedì santo), l’indicare la croce come riscatto dal male (via Crucis).  

In piazza San Pietro, i curiosi della prima ora si sono trasformati in fedeli ascoltatori delle catechesi del mercoledì e degli Angelus e dei Regina coeli della domenica. Una folla che invade a festa tutta la zona San Pietro e che porta tutto il suo calore. Francesco è un Papa che sa guardare la gente e sa farsi capire soprattutto attraverso i gesti, ma anche dosando le parole in base ai suoi interlocutori perché a ciascuno arrivi la buona novella del Vangelo e ciascuno sappia qual è la sua responsabilità all’interno della Chiesa e del mondo.

Tra le prime udienze, in quella al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha chiesto di continuare con forza la lotta alla pedofilia avendo sempre ben presente innanzitutto la situazione delle vittime. Con il segretario delle Nazioni unite Ban Ki-moon ha parlato della pace in Siria, Corea e Africa. Ai senza fissa dimora di Roma ha inviato una lettera di risposta alle loro preghiere: «Vi ringrazio per il vostro gesto di vicinanza e di affetto. Il Signore vi ricompensi abbondantemente. Vi ringrazio anche perché pregate per me, e vi invito a continuare a farlo poiché ne ho molto bisogno. Sappiate che vi porto nel mio cuore e che sono a vostra disposizione». E nella firma finale, “fraternamente Francesco”, sembra esserci quasi la fotografia di questo Papa che ci accompagna come un padre, come il «pastore con l’odore delle pecore» che vive in mezzo al suo gregge.

Annachiara Valle

Dossier a cura di Alberto Chiara
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