13/04/2013
Víctor Manuel Fernández, rettore della Pontificia università cattolica argentina (destra), con papa Francesco al tempo in cui era arcivescovo di Buenos Aires.
Un Papa libero. Dai costumi che non hanno diretto riferimento con il messaggio di Cristo. Da tutto ciò che è semplice superficialità, esteriorità, ciò che è ridondante, non essenziale, lontano dal Vangelo. Ecco l'immagine che papa Francesco ha mostrato di sé al mondo, secondo don Víctor Manuel Fernández, rettore della Pontificia Università cattolica argentina di Buenos Aires. Nel 2007 Fernández ha partecipato alla quinta Conferenza dell'episcopato latinoamericano ad Aparecida (in Brasile): un appuntamento molto importante per Bergoglio, ricorda il rettore, «perché fu uno dei momenti nei quali egli diede un contributo alla Chiesa con la sua lucidità, il suo spirito ecclesiale e la sua preoccupazione per l'evangelizzazione».
Quali sono a suo avviso i temi principali che papa Francesco ha affrontato nel primo mese di papato? Quali sono le parole, i concetti che riassumono questi 30 giorni?
«Come era prevedibile, ci sono state molte azioni tendenti a semplificare le consuetudini e le apparenze, restituendo alla figura papale la sua freschezza evangelica. Questi cambiamenti sono soltanto un accenno della grande libertà che questo Papa conserva nei riguardi di tutto ciò che è secondario. Tutto quello che non è direttamente legato al messaggio evangelico può essere modificato, soprattutto quando non riflette il volto genuino di Gesù. Da questa stessa prospettiva si può analizzare l'insieme di messaggi, omelie e riflessioni offerti. Tutto punta al centro del Vangelo: ricevere con fiducia la misericordia di Dio e uscire da se stessi per comunicarla. Hanno abbondato espressioni come: "Il messaggio più forte del Signore è la misericordia", "il Signore non si stanca mai di perdonare", "Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non disperiamo mai, non esistono situazioni che Dio non possa cambiare", "Dio ci aspetta sempre, non si stanca". Nello stesso tempo, altre espressioni evidenziano la dimensione generosa e donativa: "Avere cura delle persone", "preoccuparsi di tutti, di ciascuno, specialmente dei più deboli", "non dobbiamo temere la bontà, la tenerezza", "dobbiamo uscire, andare a cercare la pecora smarrita, quella più lontana"».
Come ha reagito l'Argentina ai primi giorni e i primi atti di papa Bergoglio?
«L'Argentina sta come tra le nuvole. Non smettiamo di ringraziare per ciò che è avvenuto. Oltre alla nostra bassa autostima, provocata dalle tante crisi che il Paese ha dovuto sopportare nel corso del tempo, nel Papa riconosciamo i nostri stessi valori, il meglio di ciò di cui come popolo siamo capaci. Questo ci restituisce una sensazione di dignità. D'altro canto, spero che possano vivere qualcosa di simile anche Paesi come l'Italia e la Spagna, che negli ultimi decenni non hanno vissuto crisi tanto pesanti come le nostre, però in questo momento si trovano in una situazione di enorme difficoltà. Credo che il papa si rivolga in modo particolare a loro quando ripete: "non lasciatevi rubare la speranza". E' il messaggio che lui ha sempre trasmesso all'Argentina nei tempi in cui eravamo in ginocchio. Inoltre, questo Papa, mostrando il suo volto di pastore, ha rafforzato l'affetto tra i laici e i sacerdoti. Quando cammino per la strada la gente mi sorride, mi chiede benedizioni, mi abbraccia. Che Dio ci aiuti a custodire questo dono».
Secondo lei quali saranno le questioni più importanti che papa Francesco affronterà nel prossimo futuro?
«Le questioni insolute sono difficili e complesse. La stessa semplificazione che Francesco ha realizzato negli abiti, i costumi, il linguaggio dovrà estendersi ad altre aree della vita della Chiesa nelle quali forse il Papa non può contare sulla stessa recettività con la quale è stato accolto dal popolo dei fedeli. Dato che il Pontefice non smette di avere dei limiti come tutte le persone, avrà un ruolo chiave l'elezione dei principali collaboratori (e per questo dobbiamo pregare intensamente). Immagino, ad esempio, che i primi vescovi che nominerà saranno un segnale importante della direzione che intende seguire. Di fatto, l'arcivescovo di Buenos Aires che Francesco ha appena nominato possiede tutte le caratteristiche dell'ideale pastorale che caratterizza papa Bergoglio. E' stato facile farlo in Argentina, per la conoscenza diretta che Francesco ha del Paese. Ma come farà negli altri Paesi? E' solo un esempio che indica la complessità di ciò che sarà il prossimo futuro».
La gigantografia di papa Francesco nella avenida 9 de Julio a Buenos Aires (Reuters).
Nel 2007 lei ha partecipato alla Conferenza di Aparecida al fianco di Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires. Quale è stato il contributo di papa Francesco a quella tappa fondamentale per la Chiesa latinoamericana?
«Quando i vescovi votarono la Commissione che si sarebbe occupata di redigere il documento finale, ergoglio venne eletto presidente con ampia maggioranza. Il giorno seguente celebrò la messa con una bella omelia sullo Spirito Santo. In quell'occasione sviluppò uno dei temi che caratterizzano il suo pensiero: invitò a evitare una Chiesa autosufficiente e autoreferenziale e auspicò una Chiesa capace di arrivare a tutte le periferie umane. Questo tema è comparso molto chiaramente anche nel documento di Aparecida. Fin dal principio, ad Aparecida Bergoglio stimolò un'ampia e libera partecipazione. Voleva che tutti si esprimessero spontaneamente, nella speranza che poco a poco cominciassero a nascere i consensi. Durante una passeggiata, mi disse che bisognava sempre agire così e che in ogni caso l'impegno per orientare il lavoro al fine di assicurare un risultato doveva essere posto in direzione del fine ultimo. Il lavoro delle commissioni fu ricco di vitalità. Per Bergoglio la sfida era lasciare che si esprimessero tutte le linee, però nel contempo produrre una linea di azione che risvegliasse l'interesse e l'entusiasmo degli agenti pastorali. Non bisognava lasciare che un settore si imponesse sugli altri attraverso la forza del potere. E questa è un'arte molto difficile che Bergoglio seppe dispiegare in modo raffinato, sottile, quasi impercettibile, con una moltitudine di piccole azioni, con un paziente lavoro di microingegneria».
Anche a lei affidò il compito di scrivere un testo.
«Nella prima settimana mi chiese di redigere un testo sulla religiosità popolare. Aveva un interesse particolare per questo tema, del quale voleva che si mettessero in risalto gli aspetti positivi piuttosto che i rischi e le deviazioni. Disse che se questa parte del documento (quella sulla pietà popolare) fosse rimasta così, lui si sarebbe cosndierato soddisfatto di tutto il lavoro di quel mese. Però, un tema che andò prendendo sempre più corpo fu quello di una nuova tappa missionaria, allegra e generosa, che arrivasse alle periferie e che ponesse l'accento sulla verità centrali e più belle del Vangelo. Tornato a Buenos Aires, Bergoglio pose la sua arcidiocesi nello stato permanente di missione. Comprese che una Chiesa missionaria non si perde nelle cose futili e secondarie, ma insiste si ciò che è essenziale. Una Chiesa missionaria predica sempre Gesù Cristo che ama e salva, per invitare a un incontro personale con Lui che ci fa suoi discepoli e a un impegno fraterno. Questo ritorno all'essenziale, per Bergoglio, risveglia sempre un nuovo fervore religioso. E alimentare questo fervore contagioso è la cosa più importante affinché la Chiesa viva una nuova primavera missionaria».
Giulia Cerqueti
Dossier a cura di Alberto Chiara