In quel gustoso minestrone di film che è la selezione ufficiale messa in tavola sulla Croisette dal 65° Festival di Cannes, non è difficile individuare un paio di ingredienti che con il loro sapore caratterizzano l'annata. Della trentina di pellicole in cartellone, siano esse in gara che fuori concorso, non poche faticheranno a lasciare traccia di sé per quell'eccesso di lunghezza e, a volte, di verbosità che i festivalieri magari riescono a sopportare (in omaggio alla perizia tecnica del regista o del direttore della fotografia) ma che al botteghino non trovano indulgenza. Ed è evidente come i titoli comunque riusciti siano quelli che hanno saputo rileggere in chiave contemporanea certi filoni cinematografici classici. Si sono rivisti gangster spietati regolare a pistolettate i loro conti per il colpo a una bisca clandestina, sullo sfondo però dell'ultima campagna elettorale Usa, mentre Obama e McCain raccontavano in Tv un'America lontana da certe realtà (Killing them softly dell'australiano Andrew Dominik con un irresistibile Brad Pitt nei panni del killer). Si è rivisto il puritanesimo della brava gente anni '60 del New England, con tanto di scout e guardacoste, alle prese con le ribellioni adolescenziali (Moonrise Kingdom di Wes Anderson). Non sono mancati i distillatori clandestini e i trafficanti di alcol ai tempi di Al Capone e del Proibizionismo (i fratelli Bondurant in Lawless di John Hillcoat, ancora un australiano innamorato degli States). Di violenza sui minori, almeno presunta, e di caccia alle streghe parla La chasse del danese Thomas Vinterberg (il talentuoso regista di Festen). E il grande ribelle Ken Loach ha dato l'ennesimo saggio di bravura e di leggerezza, nel raccontare la working class e lo sbandamento dei giovani inglesi di fronte alla crisi, con The angels' share (commedia superalcolica, interpretata da quasi esordienti, che ha regalato finalmente sorrisi a critici e spettatori).
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