Dossier - La guerra dei cordoni

E' polemica sulla conservazione per sé delle cellule staminali da sangue cordonale in banche private. I dubbi degli scienziati e delle associazioni di volontariato.

La guerra dei cordoni

03/06/2010
Un feto di quattro mesi (Foto CONTRASTO).
Un feto di quattro mesi (Foto CONTRASTO).

È davvero utile conservare per sé le cellule staminali presenti nel sangue del cordone ombelicale? La polemica a livello internazionale è scoppiata violentemente nel febbraio scorso quando a scagliarsi  contro gli interessi delle banche private del cordone ombelicale è stato un luminare della medicina rigenerativa americana come Irving Weissman, direttore dell’istituto di Biologia delle cellule staminali  dell’università americana di Stanford. L’accusa ha fatto subito il giro del mondo: dietro promesse di miracolosi poteri terapeutici si nasconderebbe un business che sfrutta la disinformazione e l’ingenuità di tanti genitori in apprensione per salute dei figli.

Ma allora che fare del cordone ombelicale? Donarlo “altruisticamente” o conservarlo per il proprio figlio? E’ il dilemma in cui può imbattersi la futura mamma poco prima del parto. Qual è la scelta più giusta e, insieme, più utile? Per il mondo della scienza non ci sono dubbi: l’unica opzione sensata è la donazione a fine solidaristico. Ma, da qualche tempo, molte sono le madri che decidono di conservare il sangue cordonale per sé, affidandolo, a pagamento,  a biobanche private  estere, con la  convinzione che le cellule staminali “emopoietiche” contenute nel cordone posseggano enormi poteri terapeutici.

Ma le promesse delle banche sono supportate da rilevanze medico-scientifiche? Pare di no, e secondo gli specialisti del settore, l’unica certezza dietro alle campagne promozionali pro-conservazione del cordone, con tanto di ingaggio di testimonial, sarebbe un appetibile  giro d’affari per chi si offre di congelare il sangue cordonale (SCO) a colpi di migliaia d’euro.

Fino a qualche tempo fa la questione non si poneva nemmeno: il cordone ombelicale era un’appendice, che al momento della nascita di un bambino non aveva più ragion d’essere e, perciò, veniva gettato. Da anni, invece, si sa che il sangue contenuto in esso contiene una buona quantità di cellule staminali “emopoietiche” di origine midollare, cioè che possono dar vita ad altre cellule di sangue, in grado di rigenerare un midollo osseo colpito da gravi malattie o esposto a trattamenti radio e chemioterapici.

«Negli ultimi 15 anni il trapianto di midollo osseo è divenuto un’importante possibilità terapeutica per gli ammalati di leucemia, linfomi e mielomi. Da dieci anni si è osservato che il prelievo del midollo osseo poteva essere sostituito con la semplice raccolta delle sole cellule staminali ematopoietiche di un donatore sano, quelle appunto del sangue contenuto  nel cordone ombelicale di un neonato», come spiega il dottor Martino Introna, direttore del laboratorio di terapia cellulare “G. Lanzani” presso la divisione di Ematologia agli Ospedali Riuniti di Bergamo. Da qui la costituzione di banche per la conservazione del cordone ombelicale (a oggi, nel mondo, sono circa 400 mila i campioni crioconservati e disponibili al trapianto, in un centinaio di banche. E sono oltre 28 mila quelli conservati nelle banche pubbliche italiane).

Esistono tre tipi di donazione di SCO: quella volontaria e altruistica (detta “allogenica solidale”), che si effettua, in Italia, presso una banca pubblica e che mette a disposizione questo sangue per chi un giorno potrebbe averne bisogno, attraverso un Registro internazionale dei donatori; la conservazione “allogenica dedicata”, su precisa indicazione medica, in favore di un familiare malato del donatore; e infine la conservazione “autologa”, fatta cioè per poter utilizzare le cellule cordonali per curare lo stesso donatore in un secondo momento. Ma se l’impiego “solidale” delle cellule staminali cordonali «è ormai ampiamente consolidato dalla letteratura scientifica, con comprovata documentazione d’efficacia», come afferma il presidente di Gitmo (Gruppo italiano per il trapianto del midollo osseo) Alberto Bosi, «lo stesso non si può affermare per la conservazione autologa». Il Gitmo, infatti, ha ribadito anche di recente la “non utilità” di questa opzione poiché non esiste finora alcuna evidenza che le cellule staminali del SCO conservate possano essere d’utilità per lo stesso neonato donatore.

Nonostante ciò, le strutture private accreditate alla conservazione delle cellule  cordonali continuano a  “bancare” le sacche di sangue di chi opta per l’uso autologo: nel 2009 sono state 18 mila le donne italiane che si sono rivolte alle banche estere. In Italia, infatti,  la legge vieta questa possibilità, e in base alle nuove disposizioni dettate da un decreto ministeriale del 2009, prevede esclusivamente la donazione altruistica presso strutture pubbliche, salvo l’eccezione di poche malattie genetiche per le quali è consentita la “conservazione familiare dedicata”.

Contro le biobanche private estere sono scesi in campo autorità mediche, le associazioni di volontariato (Adoces, Adisco e Admo), quelle che raccolgono i familiari dei pazienti emopatici neoplastici e, di recente, lo stesso Ministero della Salute, nella persona del sottosegretario di Stato Eugenia Roccella.



Alberto Laggia

di Alberto Laggia e Stefano Stimamiglio
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