23/07/2011
di amore», «alleanza coniugale», «unità
dei due», «dono che reciprocamente
si danno e ricevono». È questa la visione
del matrimonio emersa al concilio
Vaticano II in continuità/discontinuità
con il pensiero tradizionale che
l’aveva alquanto trascurata. Al riguardo,
è significativo il commento di un
filosofo laico, J. Dominian quando riconosce
che le Chiese sono passate a
descrivere il matrimonio in termini di
alleanza, di dedizione, di relazione e
così hanno raggiunto il nucleo centrale
dell’esperienza umana e il divino
mistero di questo rapporto.
L’amore umano, come donazione di sé nel tempo e oltre il tempo, qualifica la relazione tra gli sposi, è il movente e, insieme, il traguardo della realizzazione in pienezza: «Diventeranno una comunione-comunità». L’amore reciproco degli sposi è il senso, la finalità, il movente del matrimonio che fonda la famiglia. «La loro unità, tuttavia, anziché chiuderli in sé stessi, li apre a una nuova vita, a una persona» (n. 8). Dal matrimonio nasce la famiglia. La Lettera parla dell’inscindibile connessione tra essere sposi ed essere genitori. Non sono prospettive che si sovrappongono o si aggiungono l’una all’altra: tutto s’iscrive in una logica e dinamica di continuità e di reciproca integrazione. «I figli da loro generati dovrebbero – qui sta la sfida – consolidare tale patto, arricchendo e approfondendo la comunione del padre e della madre» (n. 7). Desiderare i figli e volerli per sé stessi, così che possano crescere in modo libero e responsabile, sono segni evidenti di un amore che include ma va oltre il bene proprio. Le coppie delle società d’Occidente, in realtà, non escludono i figli né li considerano alternativi alla loro autonomia e felicità. Basta pensare all’iter defatigante e dispendioso che intraprendono con il ricorso, se necessario, alle tecniche di fecondazione artificiale. Tuttavia, non si può negare «la tendenza a restringere il nucleo familiare entro l’ambito di due generazioni» (n. 10). Non è solo egoismo ed edonismo: si frappongono, infatti, molteplici cause, come mancanza del lavoro e della casa. Tuttavia, alla radice, molte coppie non esperimentano il figlio come un bene-valore, ma come un peso. «C’è poca vita umana nelle famiglie dei nostri giorni» (n. 10). La Lettera intuisce alcuni interrogativi: «Ma è proprio vero che il nuovo essere umano è un dono per i genitori? Un dono per la società? […]Certamente la nascita di un figlio significa per i genitori ulteriori fatiche, nuovi pesi economici, altri condizionamenti pratici: motivi questi che possono indurli a non desiderare un’altra nascita».
Luigi Lorenzetti