20/04/2013
Bianca, bianca, bianca… Non vorremmo essere nei panni della presidente della Camera, costretta a ripetere all’infinito l’inutilità dei politici sconfitti. L’idea-Marini è stata capace di sortire soltanto la scheda bianca, quasi un’ammissione d’impotenza di fronte a due Camere riunite nella forma ma incapaci di partorire un’idea comune nei fatti.
Non è la prima volta nella storia delle elezioni presidenziali, questo è noto. Ma preoccupa di più, stavolta, perché se in passato la scialuppa di salvataggio della scheda bianca dava la sensazione agli italiani di una pausa necessaria, una riflessione obbligatoria, una sorta di “tempo; leggo” nella partita a poker del Quirinale, stavolta l’impressione vira decisamente verso la desolazione e lo sconforto.
È un po’ come se i politici ci dicessero: “Ehm… adesso… sì, vabbè… uffa, d’accordo, è vero, non sappiamo più come se ne esce”. Brutto, vero? Vengono i brividi a pensare che le ore del voto bianco servano alle segreterie, alle teste pensanti, ai messaggeri vaganti, alle diplomazie di partito, per trovare uno straccio d’ipotesi percorribile senza che poi stramazzino nel nulla. Quel colore così immacolato stavolta sa tanto di tradimento vergognoso.
Vi abbiamo rivotato, nonostante il porcellum; crediamo ancora in voi, anche se non dovremmo; continuiamo a parteggiare, nonostante i vostri strepiti stonati e voi, invece, bandiera bianca, pardon, scheda bianca. Certo, non è come eleggere un rappresentante di classe o il segretario della riunione di condominio ma appunto per questo, diamine, mettetecela tutta, spremete le meningi e parlatevi di più. Niente, Boldrini insiste: bianca, bianca, bianca…
A qualcuno sembra una via di fuga, ad altri la salvezza momentanea prima delle decisioni irrevocabili. In altri ancora s’insinua il dubbio: e se invece della bianca, che tanto poi è inutile, me ne andassi in giro per Roma? Eh già, ci manca solo questo. Bianca, ’sta bianca va avanti senza sosta. La Lega l’ha detto per prima: noi votiamo bianca. A seguire tutti gli altri, dal Pd a sinistra al Pdl a destra. Come sono uniti, eh? La scheda bianca come “refugium peccatorum” di chi ha sbagliato i conti, di chi s’era illuso, di chi pensava di mettere in bastoni tra le ruote degli altri, di chi aveva “trovato la quadra”, che poi gli è scivolata via, sfuggita di mano, scomparsa all’improvviso, evaporata.
Ora, mettiamola così, cari grandi elettori: se nel giro di questi primi tre scrutini la bianca vi serve per scovare l’ago nel pagliaio e risolvere la cosa, ebbene, fate pure, stiamo qui e vi aspettiamo.
Ma se dopo ’sta “lenzuolata” di candore elettorale non riuscirete a esprimere un candidato eleggibile da tutti o quasi, che farete? Da quella bianca passerete alla scheda nulla? Nulla, come il contenuto di tante giornate passate a discutere invano su chi potrebbe essere l’eletto. In passato, il presidente si è trovato anche al ventitreesimo scrutinio ma oggi i tempi sono cambiati. Bisognerebbe fare come col tennis: l’invenzione del tie break presidenziale; che so, dopo il sesto turno si elegge anche senza maggioranza assoluta.
Già, ma in un Paese che quando non vota scheda bianca è capace di dare la preferenza a Valeria Marini, Raffaello Mascetti e Veronica Lario (tutte persone per bene, ci mancherebbe…) chissà cosa sarebbero capaci di fare, i nostri 1.007 grandi elettori… E allora ecco che restiamo così, immobilizzati in una scheda bianca, come nell’Angelo sterminatore di Luis Buñuel, incapaci di muoverci e dire chi dovrà diventare per sette anni il presidente di tutti. Intanto, qui e là, timidamente spunta un Chiamparino, s’intravvede un Rodotà, fanno capolino persino Bindi e Bonino, tra quelle centinaia di autorevoli ma così smodate bianche, più a sottolineare una fantasmatica presenza che a confermare che sì, ci sono anche loro, dopo tutto. A ogni “Rodotà”, a ogni “Chiamparino”, ci si desta come per incanto, quasi che quei nomi costituiscano una benefica scossa prima di affogare nel candido torpore. Poi, ahinoi, ricomincia lo strazio: bianca, bianca, bianca.
E a ogni scheda letta i capi partito sospirano soddisfatti del loro nulla così puro, neutro, innocente. Mentre altri già sono usciti dall’aula e vagano per i corridoi e si confrontano, come gli studenti che hanno finito il compito in classe: “M’ero preparato per bene ma è stato più facile del previsto, ho già finito”. Per oggi.
Domani, altro compito in aula, altro tema in bianco. Facile, in effetti. Troppo.
Manuel Gandin
a cura di Francesco Anfossi e Fulvio Scaglione