20/04/2013
Marciano compatti. Sì, proprio come i celebri 44 gatti della canzone ma stavolta sono molti di più. Per la precisione, 163, così suddivisi: 109 alla Camera e 54 al Senato. Sono gli eletti del Movimento 5 Stelle, i cosiddetti “grillini”, che dopo aver scelto telematicamente chi dovrà essere il candidato alla presidenza della Repubblica, hanno esibito la loro compattezza al momento del primo, atteso, scrutinio.
Autoesclusasi dalla corsa Milena Gabanelli, e dopo di lei tramontato anche Gino Strada, il voto era tutto indirizzato verso Stefano Rodotà. Dunque, 163 voti. A questi, dobbiamo aggiungere presumibilmente i 37 deputati e i 7 senatori di Sel, che guarda caso sono proprio 44. Non gatti, sia ben chiaro. E, in tutto, portano i voti per il giurista ex presidente del Pds a 207. E fino a qui tutto bene, sempre ammesso che fra i cinque assenti della prima votazione non vi siano grillini o sellini. E sempre ammesso che la compattezza del voto non sia stata tradita da qualcuno di quei 207 cavalieri del futuro.
Bene, ma allora i 37 voti in più da dove arrivano? Ben oltre la possibilità di saperlo – anche se immaginare la ribellione di qualche eletto del Pd è facile vaticinio - resta che con i grillini ci troviamo, per la prima volta, di fronte al paradosso della rottura contraria dell’unità, della compattezza, insomma. Sì, perché un conto è mostrarsi belli e forti e uniti nella lotta e gagliardi nello stesso gruppo, altro è vedere che qualcuno li segue provenendo da un altrove non ancora ben chiaro. E dunque: come ci si trova quando non si è più da soli?
Che sensazioni dà, rispetto a riunioni più o meno carbonare a stare con altri che non sono della stessa “famiglia”? In sostanza: che farà ora il partito più nuovo della Repubblica? Beh, si sa, voterà ancora per Rodotà. Ma, allarme rosso: se i 240 voti guadagnati al primo scrutinio dal giurista dovessero diminuire? Chi sarà il colpevole? Chi si sarà sottratto alla battaglia per il “nuovo che avanza”, proprio mentre in altre case lo sfaldamento è sotto gli occhi di tutti? Per le prossime due votazioni, quelle in cui viene richiesta la maggioranza dei due terzi i componenti dell’Assemblea, quei 163 voti originari per Rodotà, pensano Grillo e i suoi, devono esserci tutti. I 44 di Sel facciano come credono, e i 37 in aggiunta vadano dove vogliono, ma l’ordine di servizio è: “Rodotà 163”! E qui il partito più nuovo rischia di assomigliare a uno dei più vecchi, anzi, già morto e sepolto, cioè a quel Pci che ai bei tempi della politica della prima Repubblica metteva in campo il proprio candidato di bandiera che non aveva alcuna possibilità di essere eletto ma che, disciplinatamente tutti dovevano votare, pena la richiesta di spiegazioni ufficiali seguite da una doverosa lavata di capo.
In quegli anni più o meno d’oro, obbedienti, andarono al massacro Terracini e Amendola. Umberto Terracini, per esempio, fu candidato di bandiera nel 1964 per i primi 12 dei 21 scrutini che poi portarono all’elezione di Giuseppe Saragat.
In quelle prime 12 tornate, l’anziano leader comunista prese rispettivamente, 250, 251, 253, 249, 252, 249, 251, 252, 250, 249, 252 e 250 voti.
E Giorgio Amendola, nel 1978, anno dell’elezione di Sandro Pertini, prese 337, 339, 335, 338, 350, 357, 358, 357, 355, 355, 354, 364, 355 e 347 voti, dal secondo al quindicesimo dei sedici scrutini. Che partito tutto d’un pezzo, caspita! Peccato che non serviva a nulla, questo sacrificale sfoggio di compattezza. Ora, sapendo che Terracini e Amendola sono stati due grandi leader del fu Pci, mandati allo sbaraglio in attesa di trattative, accordi, strizzate d’occhio, cenni d’intesa e quant’altro serviva a eleggere un presidente “equo”, non vorremmo che anche il nuovissimo partito del domani si comportasse allo stesso modo.
E cioè che, solo per mostrare la muscolare compattezza del proprio schieramento, sacrifichi Stefano Rodotà nella guerra delle schede bianche delle prossime tornate. Non per altro, ma almeno per decenza: se anche Rodotà venisse bruciato dal voto compatto e perdente, come sta facendo il Pd con Marini, i grillini dovrebbero scendere al quarto posto della loro classifica. E poi, dopo? Sempre più in basso? No, ai grillini, se davvero interessa Rodotà presidente e non stanno solo giocando un po’ a fare i protagonisti della sconfitta, converrebbe cambiare strategia: parlare, incontrare gli altri partiti, ascoltare proposte, cercare vie davvero nuove. Ma il Movimento 5Stelle sarà capace? E ne avrà voglia? O è più facile continuare così, bruciare un candidato pur di non bere alla stessa fonte degli altri partiti? E che ne pensa Rodotà?
Manuel Gandin
a cura di Francesco Anfossi e Fulvio Scaglione