15/02/2013
Nel Dopoguerra allo IOR comincia a emergere il ruolo di Massimo Spada. I volumi e gli articoli usciti su di lui lo dipingono con un principe, un esponente della nobiltà nera papalina. In realtà, nonostante il cognome Spada sia il nome di una famiglia nobile molto legata ai papi, Massimo Spada non ha niente a che fare con quella casata. Prima di essere chiamato in Vaticano era un modesto agente di borsa, figlio a sua volta di un agente di cambio. Assunto in Vaticano nel ’29, aveva fatto carriera ed era diventato segretario amministrativo dell’Istituto, carica che equivale a quella di amministratore delegato. Sopra di lui c’era solo il cardinale Alberto Di Jorio, che però era impegnato anche in un altro ufficio finanziario del governo della Curia romana, l’Amministrazione Speciale della Santa Sede, e - almeno all'inizio - lo lasciava fare. In quel periodo verrà assunto anche Luigi Mennini, che era segretario ispettivo (una sorta di direttore generale, in pratica il vice di Spada), altro protagonista della storia dello IOR.
Tra i due, molto diversi di indole e di carattere, ci fu sempre un certo dualismo, una certa rivalità.
Figlio di un capostazione, Mennini aveva 14 figli (tra cui uno divenuto nunzio apostolico a Londra e un altro dirigente dell’Ambrosiano). Piccolo di statura, con due baffetti corti all'inglese, aveva un fare un po’ pretesco e aveva l’abitudine di parlare sottovoce, come in un confessionale. La sua conoscenza dell’Istituto era capillare e immensa. Spada, al contrario, era sanguigno ed esuberante, un romano de Roma molto mondano. Un gigante con la panza, ma con un grande carisma sui dipendenti. Grazie a lui, negli anni ’50, gli organismi economici del Vaticano comprano partecipazioni azionarie e immobili in tutta Italia per far rendere il patrimonio di Pietro. Al tempo in cui la legge consentiva di cumulare le cariche in maniera illimitata, Spada girava l'Italia in una settantina di consigli di amministrazione a bordo di una Lancia con autista attrezzata con tanto di lettino per riposare il suo corpo da peso massimo.
Il tramonto della stella di Spada è legato ai suoi legami con Sindona, il bancarottiere siciliano passato dall’altare alla polvere, rivelatosi connivente con la mafia italo-americana, che non esitò a far uccidere l’avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato dalla Banca d’Italia liquidatore della Banca Privata Italiana. E’ proprio quest’ultima banca milanese monosportello, con sede in Via Verdi, dietro la Scala, uno dei primo dei legami tra lo IOR e Sindona. Un legame che costò caro a Spada, poiché Di Jorio gli diede il benservito quando quest'ultimo gli propose di acquisire la maggioranza della banca milanese. Ne seguì che Spada, sconfessato da Di Jorio, venne costretto a rivendere la quota di minoranza che già avevano allo stesso Sindona. Il quale aveva aspirazioni di banchiere internazionale e l’acquisirà tramite la sua holding Fasco A.G., con sede in Liechtenstein. In pratica Sindona, definito da Andreotti “il salvatore della lira”, nel pieno della sua stagione più smagliante, quando ancora non si sapeva dei suoi legami con la mafia americana e del fatto che stava svuotando i depositi dei correntisti per le sue avventure finanziarie, acquista o favorisce la vendita della piccola galassia di partecipazioni azionarie dell’Istituto vaticano, che ormai davano più perdite che utili.
Bisognava dismettere quella galassia (che comprendeva anche due cotonifici e alcune imprese chimiche importanti), anche se le cedole e gli utili servivano da linfa economica del ministero petrino, che non è mai stato particolarmente ricco, nonostante quel che si dice. Oltretutto il governo di Centrosinistra di Moro aveva ripristinato l’imposta per tutte le rendite di capitale che il Vaticano possedeva in Italia (la cosiddetta cedolare). le partecipazioni non convenivano più. Papa Paolo VI spingerà molto per la dismissione.
Intanto il sodalizio con Sindona costerà nel 1980 a Spada (che si farà tre settimane di carcere) e nel 1981 a Mennini (rappresentante dello IOR al tempo in cui questi aveva una partecipazione di minoranza nella Banca Privata Italiana) guai giudiziari con accuse per concorso in bancarotta fraudolenta. La sentenza per Mennini verrà poi annullata dalla Cassazione, che sancì un difetto di giurisdizione della magistratura nei suoi confronti. Ma i guai maggiori, per lo IOR, devono ancora arrivare.
(2. continua)
Francesco Anfossi