15/02/2013
Alla fine degli anni Sessanta arriva alla presidenza dello IOR un prelato, già officiale della segreteria di Stato, di nome Paul Casimir Marcinkus. Era nato a Cicero, un sobborgo povero e violento di Chicago in cui aveva regnato Al Capone, il 15 gennaio del 1922. Marcinkus è morto a Sun City, in Arizona il 21 febbraio 2006, dove era stato assegnato – su sua richiesta - in qualità di coadiutore della piccola parrocchia di San Clemente. Una sorta di ritorno alle umili origini familiari. Il padre Mykolas, lituano, era emigrato in America nel 1908 e aveva trovato un posto da lavavetri nei grattacieli di Chicago.
Dopo qualche periodo in Bolivia e in Canada, al servizio della diplomazia vaticana, Marcinkus era rientrato nel 1952 dentro le mura leonine, sempre al servizio dell’amministrazione della Santa Sede, alla sezione inglese della Segreteria di Stato.
Nel Palazzo Apostolico collaborerà con monsignor Giovan Battista Montini, il futuro Paolo VI, prima che questi divenga arcivescovo di Milano. Ha spiccate doti organizzative. Nel 1963 fa costruire Villa Stritch, dal nome di un vescovo di Chicago, destinato a ospitare il clero americano in viaggio a Roma. All'inaugurazione partecipano alcuni membri della famiglia Kennedy e i Rockfeller.
Alto un metro e ottantasei, robusto, fumatore di puzzolentissimi sigari, amante del golf ,del tennis e degli stornelli di Claudio Villa, si occuperà dei viaggi e della sicurezza dei viaggi di Paolo VI, cui farà anche da guardia del corpo in virtù del suo fisico. Il fotoreporter Giancarlo Giuliani, durante un viaggio di Giovanni Paolo II nelle Filippine, lo vide sferrare (per scherzo) un pugno nello stomaco al collega Vittoriano Rastelli che lo lasciò senza fiato per parecchio tempo.
“Di me hanno parlato come di Al Capone”, disse Marcinkus in un’intervista, quella in cui commenta che la Chiesa non si mantiene con le Ave Marie, frase ormai celeberrima che finirà per rimbalzare in tutti i libri sullo IOR. E in effetti Marcinkus – secondo la deposizione dell’amante di un boss della banda della Magliana - è stato accusato persino di essere coinvolto nel rapimento di Emanuela Orlandi, la giovane figlia di un dipendente del Vaticano scomparsa misteriosamente. Manca solo l’omicidio Kennedy.
Nel saggio dedicato alla finanza cattolica di Giancarlo Galli, l’ex presidente dello IOR Angelo Caloia racconterà di aver spiegato a monsignor Stanislao Dziwisz, allora segretario di papa Giovanni Paolo II, che secondo lui era solo una grande incompetente (e che don Stanislao assentì in silenzio, con un cenno del capo).
Di certo il suo nome resta indissolubilmente legato a quello di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano. Il prelato di Chicago incrementò la partecipazione azionaria dello Ior nell’istituto di credito milanese, sfiorando l’uno per cento del capitale. Ma soprattutto Calvi e Marcinkus siederanno fin dalla fondazione anche nel cda della Cisalpine Overseas Bank di Nassau, alle Bahamas, la cabina finanziaria dell’impero parallelo di Roberto Calvi, di cui lo IOR ha il 2,5 per cento del capitale. A partire dal 1971 l'Istituto vien coinvolto come tramite di una serie di operazioni effettuate dal Banco Ambrosiano: depositi fiduciari (cosiddetti “back to back”, per aggirare il divieto di esportazione di valuta), linee di credito, detenzione fiduciaria di azioni. Una spirale che vede lo IOR sempre più compromesso in azioni sempre meno trasparenti da parte di Calvi, che andava tessendo la sua tela di ragno, la sua rete off shore di società occulte a doppio e triplo fondo. Una rete destinato a far precipitare l’Ambrosiano in una bancarotta da oltre 1600 milioni di dollari, coinvolgendo anche lo IOR.
La spirale finirà per costargli la vita, dopo la rocambolesca fuga verso la Svizzera e la morte (molto probabilmente l’omicidio) per impiccagione sotto il ponte dei frati neri di Londra. Sono passate alla storia le lettere di patronage di Calvi che attestavano che lo IOR stava dietro i debiti dell’Ambrosiano, contro-bilanciati dai documenti di manleva (in inglese) esibiti dai funzionari dello IOR Luigi Mennini e Federico de Strobel. Con essi il banchiere riconosceva che nella faccenda lo IOR aveva avuto un ruolo puramente fiduciario. Ci fu chi sostenne che quelle contro-lettere di favore non impegnavano, in realtà, il Banco, essendo firmate a titolo personale da Calvi. Ma in ogni caso lo IOR rifiutò di pagare. Per l’Ambrosiano il crack fu inevitabile.
La relazione alla Camera nella seduta del 2 luglio 1982 presieduta da Nilde Iotti da parte di Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro del Governo Spadolini, in risposta alle numerose e infuocate interpellanze sul caso Calvi, fu piatta, lucida e articolata. Andreatta ricordò che il Banco era stato sottoposto ad accertamenti fin dall’aprile del 1978, quando già si lamentavano deficit di informazioni sull’attività svolta all’estero con resistenze a rispondere alle domande degli ispettori. Il drenaggio di risorse finanziarie del Banco era avvenuto attraverso il canale estero che faceva capo al Banco Ambrosiano Holding di Lussemburgo, perdendosi nei rivoli dello sciame di consociate estere. L’azionariato della banca di piazzetta Ferrari era estremamente frazionato: “Era possibile esercitare il controllo disponendo di un pacchetto azionario contenuto”. La situazione, spiegò Andreatta, “si presenta aggrovigliata per un complesso di operazioni anomale e spericolate fortemente accentrate e personalizzate al di fuori di ogni logica bancaria”. Lo IOR fa capolino quasi alla fine del discorso. Andreatta annuncia l’incontro tra i commissari e l’istituto vaticano, quella mattina stessa: “Il Governo si attende che vi sia una chiara assunzione di responsabilità da parte dello IOR che in alcune operazioni con il Banco Ambrosiano appare assumere la veste di socio di fatto”. I giornali, il giorno dopo, titolarono a nove colonne.
(3- continua)
Francesco Anfossi