15/02/2013
Lo IOR ha un nuovo presidente. Per la prima volta dopo Marcinkus, sarà uno straniero. Un annuncio atteso da ben otto mesi, da quando il presidente Ettore Gotti Tedeschi fu improvvisamente costretto alle dimissioni, annunciate da un comunicato abbastanza ruvido, soprattutto per lo stile dei sacri palazzi. Gotti Tedeschi - succeduto nel 2009 al banchiere milanese Angelo Caloia - fu messo fuori gioco il 24 maggio 2012 da un voto di sfiducia del Consiglio di Sovrintendenza (in pratica il consiglio di amministrazione dell’Istituto) e sostituito da un presidente ad interim, membro dello stesso Consiglio, il tedesco Ronaldo Hermann Schmitz, proveniente dalla Deutsche Bank.
E così lo IOR, la cui sede è nel luogo più pittoresco del mondo per la sede di una banca (il torrione Niccolò V, addossato come uno sperone al Palazzo Apostolico) ancora una volta, con le sue tormentate vicende, finisce al centro della scena mediatica mondiale, anche se indirettamente rispetto alla vicenda immensamente più grande riguardante il pontificato che volge al termine di Benedetto XVI.
La storia ultrasettantenne dello IOR ha attraversato momenti difficili, segnati da scandali. Ma le critiche, le polemiche e le illazioni sullo IOR hanno continuato anche quando non ce n’era motivo. Al punto che c’è chi si era chiesto (come il consigliere svizzero degli anni ‘90 Philippe De Weck, già membro della commissione vaticana sulle responsabilità dello IOR nel crack dell’Ambrosiano) se non fosse il caso di cambiarne almeno il nome. Anche la vicenda del brusco defenestramento di Ettore Gotti Tedeschi, presidente IOR per una brevissima stagione, è stata letta (e strumentalizzata) in questa prospettiva e in questo contesto.
Limitarsi a queste vicende – di cui si deve doverosamente parlare fino a cercare di penetrare fino in fondo la verità storica - equivale a dare dell’Istituto una visione distorta. Lo IOR è qualcosa di immensamente più grande delle sue miserie e dei suoi episodi nefasti, che pur ci sono stati e che vanno gridati dai tetti. Ma non bisogna mai dimenticare che l’Istituto per le Opere di Religione è sempre stato (e lo è a maggior ragione nel terzo millennio) uno dei principali strumenti finanziari necessari ad assicurare la linfa vitale della Chiesa universale, il collettore e il gestore di offerte e donazioni provenienti da ogni parte del mondo, che a sua volta cerca di farle rendere “ad maiorem Dei gloriam”: parrocchie, conventi, vescovadi, nunziature, missioni, istituti religiosi, scuole, orfanotrofi, infinite opere di carità e di apostolato.
Alla vigilia di una nuova epoca per l’Istituto, vale la pena di ripercorrere le tappe salienti della sua storia (scandali compresi), aiuterà forse a capire che cos’è veramente lo IOR e a che cosa serve.
L’aura di segretezza che circonda lo IOR nasce già con il suo nucleo originario: la Commissione cardinalizia per i depositi Ad Pias Causas, considerata l’antenata dell’Istituto. Fu infatti creata l’11 febbraio del 1887, d’intesa con il vicario pontificio, il cardinale Raffaele Monaco la Valletta, da papa Leone XIII, il pontefice della Rerum Novarum, per amministrare e custodire in un fondo speciale i capitali delle “pie fondazioni”: le offerte dei fedeli; i lasciti di case, terreni e palazzi; i beni delle diocesi destinati all’attività religiosa o benefica. Un patrimonio da tenere nascosto, perché andava messo al riparo dalle confische incombenti dello Stato italiano. Nei decenni la Commissione assume altri nomi, mantenendo lo stesso ruolo, e nel 1939 si trasferisce nel torrione Niccolò V, a due passi dalla porta Sant’Anna, in Vaticano, detto anche il torrione degli svizzeri poiché vicino alla caserma delle guardie del Papa. Il suo predecessore più prossimo si chiama Commissione per le opere di religione.
Lo IOR vero è proprio nasce in un periodo cupo e drammatico: il 1942, in piena guerra, quando a Roma si patiscono la fame, la miseria e i bombardamenti, come quello devastante del quartiere di San Lorenzo. L’atto di fondazione ufficiale è costituito da due chirografi, ovvero due brevi documenti scritti dal Pontefice di proprio pugno con valore di atto giuridico firmati da papa Pacelli, il primo del 27 giugno 1942. Perché quella riforma proprio in piena guerra? C’era l’esigenza di una trasformazione della Commissione in senso autonomo. Lo IOR è infatti fin da subito definito “ente centrale della Chiesa cattolica”. In pratica significa che in considerazione dell’autonomia che gli viene riconosciuta, l’ente non è considerato un braccio, un ufficio, una struttura della Curia romana. Non è, propriamente, Santa Sede, ovvero organo del governo della Chiesa. Il che non vuol dire che chi la dirige non sia sottoposto al controllo della Santa Sede. A sovrintendere sull’ente infatti, fin dalla sua fondazione, ancora oggi, vi è una commissione di cardinali che risponde alla Segreteria di Stato e in ultima istanza al Papa.
Anche in questo caso, come i precedenti atti sovrani, i pontefici non hanno inteso costituire un’entità economica a fini di lucro, bensì un ente svincolato dalla logica del profitto. Lo scopo di quella che ai sensi del diritto canonico e giuridico è una vera e propria fondazione, è quello di “provvedere alla custodia e all’amministrazione di capitali destinati ad opere di religione e di carità”. Insomma lo IOR è un ente che si regge con le proprie norme, distinto dalla Curia romana e non ha con questa alcun rapporto organico, né funzionale né economico (al punto che paga perfino un congruo affitto alla Santa Sede, proprietaria del torrione e degli altri uffici all'interno del Palazzo Apostolico). Ogni responsabilità patrimoniale verso terzi è imputabile soltanto all’Istituto. I redditi netti ricavati dall’amministrazione di tali beni sono destinati “ad pias causas”, secondo l’intenzione dei fondatori, che devono esplicitamente dichiararla con atto scritto nel momento in cui trasferiscono o affidano i beni all’Istituto. La riforma nasce in piena guerra anche perché proprio in guerra nascono esigenze organizzative più stringenti e riservate per finanziare gli enti e gli istituti ecclesiastici.
Con successivo chirografo, il 24 gennaio 1944, papa Pacelli dispone lo Statuto. L’Istituto ha sempre come scopo (articolo 2) “la custodia e l’amministrazione dei capitali, depositati in titoli od anche in contanti, e destinati ad opere di religione e di cristiana pietà”.
In pratica si prevede che il nuovo ente finanziario possa gestire depositi in danaro e titoli per conto di istituti religiosi, enti ecclesiastici, prelati e dipendenti del Vaticano, e si prefigura la possibilità di assunzione di “laici”. Cardinali, prelati, parroci, religiosi, membri di congregazioni, suore e laici legati al mondo cattolico lasciano i propri risparmi nella nuova banca del Papa, (che banca propriamente non era). Secondo Benny Lai lo IOR acquisì anche un nuovo ruolo, quello di finanziare gli aiuti a tutte le Chiese del mondo, persino quelle di Hiroshima e Nagasaki.
(1 - continua)
Francesco Anfossi