01/10/2012
Gesù di Nazaret, come risulta dal
Vangelo quadriforme, conferma lo
scenario dei “Dieci Comandamenti”,
quale segnaletica di un cammino che
conduce alla autentica relazione con
Dio (rilevabile nei primi tre Comandamenti)
e con il prossimo (negli altri
sette). Tuttavia, li inserisce
nell’orizzonte più vasto del “Discorso
della Montagna”, ovvero la Magna
Charta dell’agire morale. Il Decalogo
trova, così, unità e orizzonte nella Legge
dell’amore/agape, che è il primo e
unico Comandamento; in sostanza, è
la Legge che compendia tutte le leggi,
anche quelle del Decalogo.
Non si tratta, pertanto, di contrapporre
la morale dei Comandamenti
alla morale dell’amore/agape. Si può
invece riconoscere che la “morale
dell’amore” non è una morale priva
di norme. L’amore/agape (amore
oblativo) non è un Comandamento,
sia pure il più importante rispetto agli
altri dieci; è il Comandamento, di cui
gli altri non sono che determinazione,
concretizzazione, a volte minimale,
di quello. Anzi l’amore/agape carità
non è nemmeno il Comandamento,
ma il senso della vita e dell’agire
morale. La domanda morale si qualifica
da sempre, oggi soprattutto, come
domanda di senso: del senso ultimo
della vita umana e dei sensi intermedi,
che a quello si collegano, e che riguardano
le realtà del matrimonio e
famiglia, dell’economia e politica, lavoro,
convivenza umana, del soffrire
e morire umano. Il Comandamento
(uno), che comprende e va oltre i Comandamenti
(dieci), è la risposta alla
domanda del senso dell’agire umano
sempre in ricerca di quanto può dare
contenuto autentico alla libertà-responsabilità
e consente di raggiungere,
già qui e ora, la felicità e la pace
personale, familiare e sociale.
Luigi Lorenzetti