01/10/2012
«Non rubare». I beni sono da condividere.
Troppe volte il settimo Comandamento,
nel corso della storia, è usato
per la conservazione dello status quo
ingiusto, che legalizza il furto dall’alto
(gli arrivati) mentre minaccia in tutti
i modi il furto dal basso (gli esclusi).
In altre parole, il diritto alla proprietà
privata non è assoluto e incondizionato.
Il principio della destinazione universale
dei beni è principio primario,
rispetto alla proprietà privata, del diritto
alla medesima e del suo esercizio.
È il principio che mette in questione
l’attuale assetto mondiale diviso in
individui e popoli che hanno troppo
e individui e popoli che hanno troppo
poco, gli uni e gli altri impediti,
per ragioni opposte, di essere di più.
L’etica del settimo Comandamento
non è funzionale e strumentale al
mantenimento dell’ingiusto status
quo, ma per dare concretezza a un ordine
di giustizia per tutti. «Le nazioni
ricche hanno una grave responsabilità
morale nei confronti di quelle che
da sé stesse non possono assicurarsi i
mezzi del proprio sviluppo o ne sono
state impedite in conseguenza di tragiche
vicende storiche. Si tratta di un
dovere di solidarietà e di carità; e anche
di un dovere di giustizia, se il benessere
delle nazioni ricche proviene
da risorse che non sono state equamente
pagate» (Catechismo della
Chiesa Cattolica, n. 2439). Detto più
chiaramente, il Comandamento
“Non rubare” raggiunge le persone e i
popoli che sono diventai ricchi per appropriazione
indebita, cioè per furto.
Luigi Lorenzetti