24/06/2010
Il portoghese Pepe si tappa le orecchie per non sentire le vuvuzelas, durante la partita d'esordio contro la Costa d'Avorio a Port Elisabeth, in Sudafrica.
La carica dei 101... Gol non cuccioli, selezionati da Adriano
Angelini tra quelli che hanno fatto la storia del calcio italiano.
C'è anche un po' d'azzurro e, siccome l'idea è carina, abbiamo chiesto
ad Angelini, autore per Newton Compton di 101 gol che hanno cambiato
la storia del calcio italiano, di guardare con noi questo primo
stralcio di Sudafrica 2010, per vedere se ci ha già lasciato qualcosa di
memorabile.
Dunque?
«Nulla: stiamo assistendo a una "mourinhizzazione" del calcio,
squadre che si asserragliano con 11 giocatori davanti alla porta e
ripartono. Solo che davanti l'Inter aveva Milito e mica tutti ce
l'hanno. Per le piccole contro le grandi è quasi inevitabile, ma tutto
questo penalizza lo spettacolo. Messi qualcosa di bello ha fatto vedere
ma si spera sia solo l'inizio».
Cresciute le piccole o ridimensionate le grandi?
«Direi più cresciute le piccole, hanno imparato almeno a
difendersi».
Che cosa deve avere un gol per cambiare la storia?
«Caratteristiche diverse. C'è un'importanza oggettiva dovuta alla
capacità di sbloccare una partita che conta: un gol decisivo lascia
sempre più segno di quanto non lasci un gol pur bellissimo sul 4-1.
Certo, esiste un criterio estetico, ma è un segno più labile. Il massimo
è il gol di Maradona all'Inghilterra nel 1986, con Diego che scarta
tutta la squadra e va in porta, forse è il gol più bello della storia ed
era anche importantissimo sul piano del risultato. Questo non toglie
che per la Corea del Nord sia storico il gol segnato al Brasile,
nonostante la sconfitta e l'influenza nulla ai fini del risultato. Ma la
cosa che rende davvero memorabile un gol è la carica emotiva che lo
precede. Si pensi a Grosso che sblocca contro la Germania in semifinale
mondiale. Una rete coraggiosa, determinante e pure bella uscita da
un'azione confusa e capace di portarti in finale mondiale».
Il gol mondiale più importante della storia azzurra?
«Quello dell'urlo di Tardelli: 1-0 e poi quell'urlo. Vuoi mettere.
Adesso per esultare fanno il balletto, carino. Ma non c'è confronto».
Si può scegliere un gol per criterio emotivo?
«Sì, quello di Scirea che in Nazionale nel 1980 parte dalla difesa e va
in porta da solo non era determinante ma l'omaggio a un campione
straordinario che non c'è più, capace di un gol bello e raro. Anche
quello di Agostino Di Bartolomei è un omaggio ma era anche un gol di
peso per il prosieguo della Roma in Coppa Campioni».
Torniamo al Sudafrica, neanche le papere passeranno alla storia?
«Quella di Green sì. Il povero portiere inglese ha fatto una cosa
così terribile e tenera che bisogna almeno riconoscergli il merito
dell'immortalità. È crudele ma ai portieri succede così».
E poi che altro ricorderemo, a parte tutto quello che deve ancora
succedere?
«Le vuvuzelas, molestissime, ma evocative del fatto che l'Africa non
è solo i colori che ci aspettavamo e la povertà, che c'è, ma che si
cerca (come sempre in questi casi di non mostrare), ma è anche rumori e
suoni».
a cura di Elisa Chiari