L'altro sport e l'imbarazzo di conciliare razzismo e spirito olimpico

24/06/2010
Le mascotte dei Giochi di Londra 2010, sotto il segno dell'arcobaleno.
Le mascotte dei Giochi di Londra 2010, sotto il segno dell'arcobaleno.

Tutto ma davvero tutto il mondo dello sport fu costretto ad accorgersi dell'apartheid sudafricano, nato nel 1948,  soltanto nel 1976, alla vigilia immediata dei Giochi di Montréal, Canada. Il mondo olimpico aveva provveduto “di suo” a vietare al Sudafrica i Giochi da Tokyo 1964, finalmente accorgendosi che la carta del Cio escludeva dalle competizioni chi operasse discriminazioni dovute, fra l'altro, alla razza. 

    Quattro anni dopo, approfittando della distrazione dei membri dello stesso Cio, il presidente di allora, lo statunitense Avery Brundage, bianco con inclinazioni neppure troppo vaghe al razzismo (era stato ammiratore abbastanza esplicito di Hitler), aveva ottenuto la riammissione con una sorta di voto epistolare: grande sollevazione in occasione dei Giochi invernali di quel 1968 a Grenoble, Francia, da parte dei membri del Cio “ingannati”, burocrazia sconfitta, sudafricani sempre fuori. 

     Però continuava ad esserci un Sudafrica accettato e frequentato in sport non olimpici, quali il golf, il tennis, il rugby, l'automobilismo e il motociclismo, con rapporti costanti con tanto mondo che riusciva a non accorgersi di niente. E c'era pure un forte pilota sudafricano di formula 1, Jody Scheckter. Nel 1974 la squadra italiana di Coppa Davis aveva giocato a Johannesburg una semifinale, finendo sconfitta: qualche protesta da sinistra, nel Bel Paese, niente di più. Quanto a Scheckter, aveva esordito in Formula 1 nel 1972, segnalandosi per bravure assortite ma anche per scorrettezze gravi: nessun ostacolo comunque, nel mondo dei motori, alla sua presenza. 

     E arriviamo appunto al 1976, quando i capi dell'associazione sportiva degli stati africani si accorsero che era a Montréal per prendere parte ai Giochi la Nuova Zelanda, nazione che nel rugby intratteneva stretti e continui rapporti con il Sudafrica, più stretti di quelli intrattenuti da altri paesi, su tutti l'Australia, e addirittura sfacciati. Fu subito chiesta l'interdizione dei neozelandesi, il Cio disse di no – il rugby non lo riguardava, non era olimpico... - temendo altre richieste di esclusione, trentadue stati africani lasciarono i Giochi (restarono soltanto Senegal e Costa d'Avorio). 

    Per il resto tutto andò avanti come prima e Scheckter, secondo sulla Wolf nella classifica mondiale 1977, dietro a Niki Lauda su Ferrari, nel 1979 passò alla casa italiana, per la quale conquistò subito un titolo iridato che ebbe una valenza statistica fortissima: infatti, ritiratosi Sheckter nel 1980,  soltanto con Michael Schumacher, e nel 2000, la Ferrari tornò al sucesso finale in F1.  Insomma, apartheid a due marce anche nello sport: però almeno quello olimpico riuscì a chiarirsi tutto, e per rientrare nei Giochi ci volle, dell'apartheid, la fine ufficiale, con porte riaperte  per l'edizione olimpica di Barcellona 1992.

Gian Paolo Ormezzano

a cura di Elisa Chiari
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