29
giu
Lo scorso maggio, per la prima volta, abbiamo vissuto la
prima santa comunione nella nostra famiglia! E' stato un evento ricco di
emozioni e di commozione, prima di tutto un momento che ci spinge a vivere
meglio "le nostre comunioni" e a farci sentire ancora più grati per il dono di
questo grande sacramento della fede cristiana.
Abbiamo voluto festeggiare come si deve un momento così
importante.... e non si potrebbe fare altrimenti! Eravamo indecisi se rispettare tutte le consuetudini, ma
nelle ultime settimane, tormentatissime tra ricorrenze e contrattempi vari, tra
i quali all'ultimo si è aggiunto un “piccolo” incidente in bicicletta alla
nostra figlioletta, siamo stati costretti a rinunciare a certi gesti per vera e
propria mancanza di tempo e così il problema si è risolto da solo: alla fine, abbiamo eliminato bomboniere e
ricordini. Un po' forse ci è dispiaciuto, ma abbiamo visto che non erano essenziali.
La Messa, celebrata e vissuta con raccoglimento e sentita partecipazione
di tutti i presenti, è stata il centro della giornata. Poi abbiamo festeggiato!
Avevamo deciso già mesi fa di fare la festa in casa. Con
cinque figli è quasi obbligatorio perché in questo modo si risparmia
notevolmente, anche perché entrambe le nostre famiglie d'origine sono abbastanza
numerose. La celebrazione è stata al mattino e non si poteva chiedere ai
parenti, alcuni con bambini piccoli e che venivano da lontano, di ritornare nel
pomeriggio solo per una fetta di torta. Inoltre l'occasione per stare insieme e
ritrovarsi tutti era così preziosa che bisognava sfruttarla.
Abbiamo preparato un pranzo di poche portate da servire
fredde. Il lavoro è stato comunque notevole e più di una volta, stanca e
dubbiosa sul risultato finale, mi chiedevo se non sarebbe stato meglio offrire
solo un semplice aperitivo. Però cucinare mi piace, e provare a farlo per così tante persone è stata una bella sfida.
Purtroppo non ho mai la tranquillità necessaria per concentrarmi solo a cucinare. Stavolta la tranquillità e la
concentrazione erano indispensabili. I bambini, tranne il più piccolo, erano
stati mandati dai nonni per forza di cose per l'intero pomeriggio di sabato.
Cucinare per quasi trenta persone è una bella responsabilità
e devo dire che l'ho sentita tutta! Non mi sono seduta per cinque ore di fila!
Come primo abbiamo preparato una semplice insalata di riso (visto che abbiamo
due nipotini celiaci) e per secondo un roast-beef, che ho cucinato con
moltissima apprensione, verificandone la cottura in continuazione (perché
occhio non deve essere troppo cotto, è la cosa peggiore, ma guai se è troppo
crudo...!).
Mio marito ed io abbiamo collaborato come non mai: Augusto preparava pomodorini, tonno e olive e io
cuocevo. Fisicamente ai fornelli stavo solo io (di solito se vi si sta in due è
un continuo: “Hai messo abbastanza sale?”, “Ma le dosi saranno sufficienti?”,
“Forse la padella non va bene!”, “Secondo me non avresti dovuto...”... e
finisco col mio caratteraccio per innervosirmi ed arrabbiarmi perché sono
allergica alle critiche!). I consigli di mio marito a distanza sono stati però
molto preziosi. Abbiamo abbondato un po', ma quello che è avanzato adesso viene
goduto per un'intera settimana. Il vantaggio del pranzo in casa! Abbiamo fatto
scorta di vino, bevande e grissin. Il contorno
consisteva in una bella insalata, e per dolce abbiamo servito un
sorbetto al limone.
La torta di pasticceria, finale d'obbligo, invece, è stata
ordinata apposta.
Il momento del riordino, subito alla fine del pranzo, che
pensavo sarebbe gravato quasi interamente sulle mie spalle, si è svolto con
allegria con la collaborazione di alcuni invitati, che si sono messi
volontariamente a lavare e asciugare i piatti!
Abbiamo tenuto il frigo vuoto per tenervi pronte le pietanze
dal sabato e chiesto un frigorifero piccolo supplementare in prestito. Tutta la
settimana precedente era stata dedicata a pulire e riordinare la casa. Per
fortuna, perché la festa della prima comunione è stata una buona scusa per
mettersi finalmente un po' a posto o perlomeno arrivare ad una situazione di
decenza!
Sinceramente non ho ancora fatto il conto preciso delle
spese, ma all'incirca abbiamo speso 300 euro, in questa cifra è però incluso il
consumo normale della settimana.
Alla fine ce l'abbiamo fatta con una notevole dose di
stanchezza ma con tanta gioia e molto contenti per essere riusciti a vivere con
tutti e prima di tutto con il festeggiato una vera giornata di festa che
rimarrà nei nostri ricordi più belli!
Immagine: Parrocchia San Francesco, Carrara (MS)
Pubblicato il
29 giugno 2011 - Commenti
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11
feb
Non so come la pensiate voi, su San Valentino: la consideriate una festa inutile, creata ad hoc per spillare denaro in inutili regali? Avete un animo incline al romanticismo? Pensate sia una buona occasione per fermarsi a riflettere sul significato della vostra relazione, come fanno molte coppie a Terni, la città natale del Santo, in questa occasione?
Sia quel che sia. Quello che mi colpisce è che in questi ultimissimi anni San Valentino sta diventando un'occasione per promuovere iniziative e regali solidali. In effetti si tratta di un ottimo momento per questo genere di regali: non sono eccessivamente impegnativi, e ben si addicono a una festa che non implica un regalo "vero" (per quello ci sono già Natale e compleanno), allo stesso tempo sono un bel segno del fatto che l'amore tra due persone genera bene, capace di aprirsi all'altro (e poi è un buon test per capire se ne vale la pena: fate un regalo così a un/a ragazzo/a, e se si scoccia capite al volo che è il momento di lasciar perdere)
Tra le iniziative in campo, vi segnalo in particolare due associazioni che hanno ideato e promosso regali "sanvalentineschi" utili, poco costosi e davvero carini. Da suggerire a chiunque sia interessato a spendere (poco) per fare una cosa (bella).
La prima associazione è la
Fondazione Pangea, una ONLUS che dal 2002 lavora per favorire condizioni di sviluppo economico e sociale delle donne e delle loro famiglie. Online trovate una pagina di
Regali solidali: un ciondolo o un anello a forma di nodo (il simbolo dell'associazione) oppure un vero e proprio regalo per i progetti della Fondazione: un corso di sartoria, una capra, un corso di alfabetizzazione. Piccole cose, che possono però costituire un vero e proprio salto di qualità nella vita di una donna in un Paese povero.
Save the Children, una ONG internazionale che da tempo si occupa dei bambini, ha realizzato due bellissimi video promozionali con Sabina Guzzanti, Pietro Sermonti e Andrea Sartoretti per i suoi regali solidali (che si comprano
qui). Il primo lo avete già visto sopra, il secondo è questa divertente intervista a tre:
Pubblicato il
11 febbraio 2011 - Commenti
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03
giu
Lo scorso 24 Maggio è apparso sul Corriere della Sera un articolo su uno di quegli argomenti di cui le famiglie hanno da sempre esperienza, ma che non sono mai stati messi a tema o sui quali non abbiamo dati statistici e studi comparativi.
Ossia: allevare una figlia (femmina) costa più che alleva un figlio (maschio). Questa "incredibile" scoperta è il risultato di uno studio condotto in Gran Bretagna dal sito lovemoney.com, che ha condotto un'indagine su un campione di 3000 genitori inglesi. Dallo studio è emerso che "allevare" una figlia femmina dai 5 ai 18 anni costa 2.000 sterline in più, rispetto ad "allevare" un figlio maschio.
Quasi 2.500 € di differenza, dunque. Per una figlia si spendono infatti, nell'arco di 13 anni, circa 28.439 sterline, pari a 34.018 euro, contro le 26.630 sterline per un ragazzo, cioè 31.854 euro. A fare la differenza sembrano essere vestiti, scarpe, attività sportive (più costosi i corsi frequentati dal gentil sesso). I maschi, a differenza delle femmine, riescono però ad ottimizzare sui regali: per il loro compleanno e per Natale i genitori spendono di più per i pargoli.
La ricerca considerava solo le spese per vestiti, hobby, uniformi scolastiche e accessori, e non le spese per il mantenimento (spese alimentari, scolastiche ecc.). Peraltro alcuni genitori, commentando i dati della ricerca apparsa anche sul quotidiano Daily Mail, li hanno ritenuti del tutto inattendibili: una media di 150 sterline all'anno per vestire i figli è sembrata, ad alcuni una cifra troppo bassa.
E voi, cosa ne pensate? Spendete più per le vostre figlie che per i figli? Ma soprattutto, spendete in modo differente a seconda dei generi di appartenenza?
Pubblicato il
03 giugno 2010 - Commenti
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03
mag
Un milione di madri con un bimbo piccolo, nel nostro paese, vive in difficoltà. Il dato, abbastanza allarmante, è stato diffuso ieri in occasione della presentazione di due rapporti della ONLUS Save the Children su maternità a povertà. Un rapporto sulla situazione mondiale, ed un rapporto che si focalizza in particolare sulla situazione italiana, redatto disaggregando alcuni dati Istat di una rilevazione sulle condizioni di povertà, effettuata nel 2008.
Il punto di partenza delle indagini condotte da Save the Children è molto semplice, e costituisce una specie di cornice di riferimento per qualsiasi situazione, da quelle analizzate nei paesi più poveri, a quelle relative ai paesi scandinavi: il benessere di un bambino è direttamente collegato al benessere della sua mamma.
Detto questo, il rapporto su Le condizioni di povertà tra le madri in Italia analizza le condizioni delle madri in Italia secondo tre tipologie: madri che vivono in coppia (dette anche famiglie, soprattutto da queste parti), le madri sole, le madri in famiglie con membri aggregati.
Il risultato che emerge da questa indagine è abbastanza sconfortante: l'11,3% delle famiglie italiane vive in condizioni di povertà relativa, e le madri povere con un figlio minorenne costituiscono il 59,7% delle madri povere, e l'8,73% delle madri italiane. La maggior parte di esse vive in coppia (l'86,3%) e fa la casalinga in oltre il 64% dei casi.
Un dato mi ha particolarmente colpito: il 25,8% delle madri lavoratrici con un figlio si trova in difficoltà economiche, e le madri contribuiscono comunque al reddito familiare per meno del 40% del reddito complessivo. Il che vuol dire lavori con redditi molto bassi, o comunque insufficienti se venisse a mancare il reddito del "capofamiglia".
L'altro dato che mi ha molto colpito riguarda il numero dei cosiddetti working poors, cioè delle famiglie bi-reddito che comunque affrontano problemi economici: secondo il rapporto di Save the Children, il 19,7% delle famiglie povere è composta da famiglie in cui lavorano entrambi i coniugi.
L'indagine si focalizza poi su un altro aspetto tipicamente italiano: l'abbandono del lavoro da parte delle donne in seguito alla nascita del figlio, e la scarsissima percentuale del part-time e delle altre forme di lavoro flessibile. Una politica del lavoro che permetta la presenza simultanea delle donne sul mercato del lavoro e in famiglia sarebbe indubbiamente un argine alla povertà delle famiglie, e delle donne in particolare.
L'Italia non è un paese per le mamme, verrebbe da dire: infatti, si situa al diciassettesimo posto nella classifica Mother's Index, stilata da Save the Children tenendo conto dei livelli di salute, educazione e status socio-economico. Primi, in questa classifica, sono Norvegia, Australia, Islanda e Svezia. Ultimo l'Afghanistan. Gli Stati Uniti sono al ventottesimo posto. Tutti i dati, qui.
Pubblicato il
03 maggio 2010 - Commenti
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