«La sua casa milanese di via Donizetti era sempre aperta per me». Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, racconta la sua amicizia con lo scrittore Luigi Santucci, «Lillo, come lo chiamavamo affettuosamente», di cui Famiglia Cristiana proporrà la settimana prossima Il ballo della sposa per la Buc - I narratori.
Un'amicizia nata dall'ammirazione: «Ero ancora studente di teologia, e a Roma, passando un giorno da una libreria, avevo acquistato uno dei suoi primi romanzi (anzi, quello che lo avrebbe svelato al grande pubblico), Il velocifero. Da quella lettura era nato il desiderio – considerato allora impossibile – di conoscere l'autore. In seguito, nel 1967, sacerdote da un anno avevo scoperto quello che considero il suo capolavoro, Orfeo in paradiso. E avevo accanto ancora mia madre, quando – ormai insegnante nei seminari milanesi – durante le vacanze natalizie del 1971, avevo seguito la trascrizione televisiva di quel romanzo, un emozionante sceneggiato di Leonardo Castellani». Poi l'ammirazione si trasformò in contatto e in amicizia. «Fu la moglie amatissima di Lillo, Bice, la sua "Beatrice", donna straordinaria, ad accorciare le distanze. In casa loro ero accolto come un fratello o un figlio da una famiglia unita e numerosa, pronta a festeggiare ogni comune ricorrenza, spesso unendo a essa anche la mia famiglia». Una frequentazione che divenne più intensa dal 1990, «quando Lillo riuscì a trovare per mio padre e le mie due sorelle una casa estiva accanto alla sua a Guello di Bellagio. Lassù, davanti a un panorama mozzafiato, dinnanzi al lago manzoniano per eccellenza, quello di Lecco- Como, e all'incombere frontale delle due Grigne, ogni giorno ad agosto, Santucci – salendo una piccola erta e superando un varco nella siepe divisoria dei due giardini – si presentava cercando di "sorprendermi" mentre ero intento nella lettura o nella scrittura».
Santucci, conclude il cardinale, «era un uomo festoso, attaccato alla vita, capace di giocare a tennis fino a pochi mesi prima della malattia che lo portò alla morte il 23 maggio 1999, pronto alle battute folgoranti, a ospitare amici, a comporre per loro dediche e stornelli, a lasciarli incantati con le sue straordinarie "recite" o certe stupende letture dantesche ». Riprendere in mano i suoi libri ha anche il senso di ripercorrere, attraverso la scrittura, la fede di un uomo: «Ha sempre cantato la gioia semplice e umile, deposta come un seme microscopico nel terreno della vita. Ha fatto intravedere, con i suoi scritti, il paradiso che altro non è che la felicità "capillare", cioè quella che si cela, come diceva Santucci, "entro il battere di ogni nostra ora"».
La copertina de "Il ballo della sposa" di Luigi Santucci, disponibile in edicola e in parrocchia a partire da giovedì 21 giugno.
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20 giugno 2012 - Commenti
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